martedì 24 dicembre 2013

Franz Kafka, Aforismi di Zürau



Franz Kafka, Aforismi di Zürau, Adelphi, 2006


Il succo:


- Ogni mattina, alla Bodleian Library di Oxford, nella stanza 132 dell'edificio moderno, severa, non dissimile da un aula di collegio, studiavo il manoscritto del Castello. Un giorno passai alla cartella degli Aforismi di Zürau. Il paesaggio si presentava totalmente diverso. Fogli sciolti - centotré - di formato rettangolare, cm 14,5 x 11,5, in carta molto sottile, di un giallo pallido, ricavato tagliando in quattro una certa quantità di carta da lettere. ... Mai, per un suo testo, Kafka aveva escogitato una simile disposizione della pagina e della sequenza. ... Quanto più studiavo da vicino quei fogli sottili e le loro connessioni con i quaderni e le lettere scritte da Kafka nei mesi di Zürau, tanto più mi appariva evidente che quei testi andassero letti esattamente nella forma in cui Kafka li aveva disposti, come schegge di meteoriti cadute in plaghe desertiche.  (In margine di R. Calasso, pag. 11-13) -

- La vera via passa per una corda che non è tesa in alto, ma appena al di sopra del suolo. Sembra destinata a far inciampare più che a essere percorsa. (n°1 pag. 17) -

- I nascondigli sono innumerevoli, la salvezza una sola, ma ci sono tante possibilità di salvezza quanti nascondigli. (n°26 pag. 40) - 

- Non c'è un avere, solo un essere, solo un essere che desidera l'ultimo respiro, la soffocazione. (n°35 pag. 49) -

- Prima non capivo perché la mia domanda non ottenesse risposta, oggi non capisco come potessi credere di poter domandare. Ma io non credevo affatto, domandavo soltanto. (n°36 pag. 50) - 

- L'uomo non può vivere senza una costante fiducia in qualcosa di indistruttibile dentro di sé, anche se quell'indistruttibile come pure quella fiducia possono rimanergli costantemente nascosti, Una delle possibilità di esprimersi, per tale rimane nascosto, è la fede in un Dio personale. (n°50 pag.65) -

- L'indistruttibile è uno; ogni singolo uomo lo è e al tempo stesso è comune a tutti, da qui il legame fra gli uomini, indissolubile come nessun altro. (n°70/71 pag. 84) - 

- L'amore sensibile ci inganna sviandoci da quello celeste; da solo non potrebbe, ma poiché esso contiene in sé, inconsapevolmente, l'elemento dell amore celeste, ci riesce. (n°79 pag. 92) - 

- Due compiti per iniziare la vita: restringere il tuo cerchio sempre più e controllare continuamente se tu stesso non ti trovi nascosto da qualche parte al di fuori del tuo cerchio. (n°94 pag. 106) - 

- Non è necessario che tu esca di casa. Rimani al tuo tavolo e ascolta. Non ascoltare neppure, aspetta soltanto. Non aspettare neppure, resta in perfetto silenzio e solitudine. Il mondo ti si offrirà per essere smascherato, non ne può fare a meno, estasiato si torcerà davanti a te. (n°109 pag. 121) - 

- Kafka soggiornò per otto mesi a Zürau, nella campagna boema, a casa della sorella Ottla, fra il settembre 1917 e l'aprile del 1918. La tubercolosi si era dichiarata un mese prima, con uno sbocco notturno di sangue. Il malato non nascose un certo senso di sollievo. Scrivendo a Felix Weltsch, si paragonò all' "amante felice" che eslama: "Tutto il passato erano solo illusioni, soltanto ora amo veramente". La malattia era l'amante definitiva, che permette di chiudere i conti precedenti. Il primo dei quali era l'idea del matrimonio, che lo torturava (e torturava Felice) da cinque anni. Un altro conto era la vita d'ufficio. Un altro conto erano Praga e la famiglia. 
Arrivato a Zürau, Kafka per un giorno non volle scrivere nulla, perché il luogo gli "piaceva troppo" e temeva che ogni sua parola mettesse la "battuta in bocca al male". ... la situazione si avvicinava a quella riduzione al minimo degli elementi verso cui Kafka tendeva per vocazione nello scrivere - e avrebbe voluto estendere a tutta la sua vita.

Questo libro è come un diamante purissimo, annidato nei vasti giacimenti carboniferi che erano in Kafka. 

...ciascun frammento è un aforisma nel senso di Kirkegaard, un essere "isolato", che deve respirare circondato da uno spazio vuoto. Questo spiega l'accorgimento di trascriverne uno solo per ogni foglietto. ... Alcuni di questi frammenti sono narrativi, altri sono singole immagini, altri sono parabole. 

Nei primi giorni di Zürau, Kafka annotò queste parole: "O bella ora, magistrale stato, giardino inselvatichito. Tu svolti dalla casa e sul sentiero del giardino ti viene incontro la dea dalla felicità". Dea che nominò soltanto quella volta.  (Lo splendore velato di R. Calasso, pag. 125-142) -

sabato 14 dicembre 2013

Mario Rigoni Stern, Inverni lontani




Mario Rigoni Stern, Inverni lontani, Einaudi, 2009



Il succo:

- Nella steppa i villaggi bruciavano: indicavano a chi veniva dietro la strada dove erano passati e che loro dovevano seguire se volevano salvezza. 
Sarà per questo che chi è sopravvissuto a quei giorni ama accendere il camino nelle sere d'inverno? Così nella memoria ritornano i ricordi e i volti delle persone care. Se nevica ti prende anche una forte malinconia e guardando il bosco che si imbianca rivivi tante esperienze. (pag. 5).

- Così io, piccolo uomo tra miliardi di altri, preparo il mio inverno che sarà simile a quello di molti altri abitanti della terra. (pag. 7) -

- Fu forse questa mia confidenza con la neve e con il freddo che mi permise di superare inverni ben più duri? E questa mia familiarità con il bosco e gli animali che mi aiutò a sopravvivere in certi momenti? Sì, questo. Ma anche tanta fortuna. (pag. 12) -

- Nel tepore del letto vado con i ricordi dentro un tempo lontano; ma anche, ascoltando, ancora prima del crepuscolo dell'alba cerco di capire il tempo meteorologico: ... Immagino il freddo secco e forte che a volte fa scricchiolare il bosco. Questo è il momento più freddo della notte che incomincia a impallidire; il momento in cui si muovono i corvi perché non riescono più a sopportarlo. (pag. 18) -

- ... nelle cartelle per merenda c'era una patata cotta sotto la cenere. ... Eppure non ci rendevamo conto della nostra povertà e mi ritenevo più fortunato di molti altri costretti ad emigrare nelle miniere del Belgio. (pag. 23) -

- Due o tre ore ogni sera le passavo a riordinare la biblioteca degli ex combattenti, che aveva qualche migliaio di volumi. ... Si sa, allora non c'era la televisione, pochi avevano la radio e la gente leggeva di più. Alla domenica mattina, dopo la messa, venivano in biblioteca anche dalle contrade lontane. Pagndo venti lire potevano avere in prestito un libro per quindici giorni. ... Insomma, che cosa importava se quando li restituivano avevano odore di vacca e di letame e se erano un po' sciupati? Intanto venivano letti nelle lunghe sere invernali, magari a voce alta, alla tenue luce delle cucine o nelle stalle mentre si aspettava il parto delle vacche. (pag. 23/24) -

- Riuscivo a comprare qualche libro nuovo di narratori e poeti, o qualche saggio di storia ... Fu così che i miei giovani compaesani poterono leggere Kafka, Faulkner, Babel', Hemingway, Garcìa Lorca, Eliot, i poeti russi, Carlo Levi, Pavese, Vittorini, Gramsci... Queste mie scelte arbitrarie provocarono in paese una certa reazione da parte dei benpensanti che vedevano nella piccola biblioteca un luogo di riunioni sovversive. Ma che belle discussioni in quelle sere invernali! Quanto entusiasmo nei nostri discorsi animati da letture che ci avevano fatto scoprire un mondo che fino ad allora ci era stato tenuto nascosto. (pag. 24) -

- Nei mesi dell'inverno, guardando dalla finestra la neve che turbina e che nasconde il paesaggio, ripenso a questa cose che ho vissuto, a tanti amici scomparsi, a quelle bambine con le quali andavo veloce sulle slitte scendendo dalle colline attorno alle nostre case che alzavano verso il cielo il fumo dei camini. Forse il loro ricordo mi ha salvato?
Inverni lontani della mia vita, uno diverso dall'altro per ottanta ragioni, ma tutti simili in due cose: l'attesa e la preparazione per ben superarli. (pag. 30) -

- Nel nord del continente asiatico, dalla Corea alla Siberia, o nei villaggi lontani dalle città, in Canada, Alaska o Patagonia, nei giorni lunghi si lavora per preparasi ad affrontare le lunghe notti dove la Bibbia, Omero, Tolstoj, Shakespeare o anche Mozart, faranno buona compagnia a qualcuno al chiarore di una piccola lampada. Nei ripostigli scavati nel terreno, nei fienili, ma anche sotto la neve sono le scorte accumulate nella buona stagione e che permettono l'esistenza.
In attesa dell'inverno anche da noi è bello lavorare non per accumulare denaro sul conto corrente ma scorte di legna secca, farina, patate, verdura in composta, marmellate, funghi secchi, oca a pezzi nel suo grasso, carne secca affumicata anche di selvaggina, lardo sotto sale nella pietra scavata a truogolo, sardelle pure sotto sale, e così via per i prodotti che la natura ci dona dalle semine di primavera alle raccolte dell'autunno. (pag.32/33) -

- Passiamo alla scorta di bevande per trascorrere bene in nostro inverno. Vino in primis. ... Per le sere di vento e neve, guardando il fuoco, un buon recioto della Valpolicella, il preferito da mio nonno: "... Devo dire che la guerra non mi piace.| A me piace, seduto nel canto del fuoco,| bere con i compagni, bruciando la legna più secca,| i vecchi ceppi strappati durante l'estate, e tostar ceci.| ... Niente è più bello, finita la semina, lasciare che il dio| faccia cadere le sue piogge, e sentire un vicino dirti:| "Di' un po', vecchio mio,| che cosa facciamo a quest'ora?" Mi piacerebbe molto| bere un gotto mentre il dio pensa al nostro bene..." Così scriveva Aristofane duemilacinquecento anni fa. (pag.38/39) -

- ... scada del latte, aggiungi un cucchiaino di miele di salvia delle isole dalmate e un bicchierino di grappa, bevi il tutto con un'aspirina e mettiti a letto restando immobile: vedrai che sudata! Dopo due giorni sarai come nuovo. (pag.39) -

- Già, quando il corpo sta bene sta bene anche lo spirito. Ma anche lo spirito a bisogno di alimento, e allora, per l'inverno che viene, affrontiamo qualche bella lettura o rilettura. Da ragazzo, quando il freddo gridava sotto i chiodi degli scarponi e veniva buio, vicino al focolare avevo il mio posto e il mio libro di avventure: Salgari, Verne, Kipling, ma nache Conrad e Stevenson. Ero con loro in paesi lontani, in mille vicende bellissime. No, non avevo proprio tempo per studiare o fare i compiti. I compiti li facevo in classe sul mio banco, dieci minuti prima che entrasse la cara maestra Elisa. ...
... Ora sono tanti i libri che vorrei leggere, o rileggere. Ma credo che la mia vita finirà ben prima di aver saziato questa sete: i classici greci e latini, la storia dall'antica alla contemporanea. Rileggerò i mie soliti cari poeti: Dante, Leopardi; magari ancora Proust e Cechov; poi i Racconti della Kolyma di Salamov... (pag. 39/40) -

- La neve verrà leggera come piccole piume d'oca, soffermandosi prima sugli alberi, quindi filtrerà tra i rami posandosi in fine sui cortinari gelati, sugli arbusti di mirtillo, sul muschio come velo di zucchero su una torta. Le lepri, i caprioli, i cervi staranno immobili a guardare il nuovo paesaggio. Le volpi dentro la tana spingeranno fuori il naso per fiutare il nuovo e antico odore che ritorna. Ma quando sarà tutto bianco, si ricorderanno gli scoiattoli dove hanno nascosto le provviste? Il vecchio urogallo dello Scoglio del Tasso volerà sull'abete dove generazioni della sua famiglia hanno aspettato la primavera nutrendosi delle sue foglie. Il bosco sarà immerso in un tempo irreale e io andrò a camminarci dentro come in un sogno. Molte cose mi appariranno chiare in quella luce che nasce da se stessa.
Verrà, verrà il caro scricciolo sulla catasta di legna ad annunciarmi la prima neve come quando ero ragazzo con il suo tictictic ripetuto più volte, e il suo campanellino nascosto nella gola si sentirà anche lassù dove le nuvole compatte e bianche aspettano il segnale. (pag. 41) -  



mercoledì 27 novembre 2013

Robert Walser, La passeggiata




Robert Walser, La passeggiata, Adelphi, 2011




Il succo:



... Mentre lì attorno, un po' nel boschetto, un po' nel campo, cercavo e coglievo fiori, incominciò pian piano a piovere e il paese si fece ancora più soave e silenzioso. Ascoltavo la pioggia gocciolare lieve sulle foglie, e mi sembrava un pianto. Com'è dolce la minuta tiepida pioggia d'estate!
Antichi errori, ormai remoti nel tempo, mi tornarono alla memoria: infedeltà, dispetto, falsità, perfidia, odio, una quantità di brutte, violente scenate, sfrenati desideri, incontrollata passione. Vidi chiaro quanto male e quale torto avevo fatto a tante persone. Nel sottile sussurrìo che circondava, l'onda dei miei pensieri salì fino a riempirmi di tristezza. 
Come una ribalta gremita da scene intensamente drammatiche mi si chiuse dinanzi la vita d'un tempo; un involontario stupore mi colse nel riconoscere tutte le mie debolezze, le infinite cattiverie, la mancanza d'amore.
E in quel momento balenò ai miei occhi l'altra figura, rividi a un tratto il povero vecchio derelitto che pochi giorni prima avevo veduto tristemente disteso al suolo: così miserevole, pallido, sofferente, affranto, triste da morire, che a quella vista mi ero sentito l'animo tristemente sconvolto. Rivedevo ora mentalmente quell'uomo sfinito e quasi mi sentivo male.
Alla ricerca di un posto dove sdraiarmi, scorgendo per caso un angolo tranquillo sulla riva lì accanto, spossato come mi sentivo, mi accomodai il più possibile sul terreno soffice, al riparo dei fidi rami di un albero amico.
Nel contemplare tera, aria e cielo fui preso da un pensiero conturbante e irreprimibile: ero costretto a dirmi che ero un povero prigioniero fra cielo e terra, che tutti qui siamo ugualmente dei poveri reclusi e che per noi tutti non v'è alcuna via verso un altro mondo, se non quell'unica che ci conduce nella fossa buia, nel grembo della terra, giù nella tomba.
"E così la florida vita, tutti i bei colori allegri, ogni gioia di vivere e umano significato, l'amicizia, la famiglia e la donna amata, l'aria dolce e piena di lieti, felici pensieri, le case paterne e materne, le care strade note, la luna e il sole alto e gli occhi e i cuori degli uomini, tutto un giorno dovrà scomparire e morire".
Mentre, giacendo assorto, chiedevo in silenzio perdono agli uomini, mi tornò ancora alla mente quella fanciulla tutta fresca di giovinezza, dalla bocca così graziosamente infantile e dalle gote deliziose. Rivissi acutamente il rapimento che mi dava la sua presenza fisica, così tenera e melodiosa, e come tuttavia, avendole chiesto poco tempo addietro se credeva che le fossi realmente affezionato, in segno di dubbio e d'incredulità avesse abbassato i begli occhi e mi avesse risposto "no". Le circostanze l'avevano indotta a partire, e così la perdei. E tuttavia avrei potuto probabilmente convincerla delle mie buone intenzioni. Al momento giusto avrei dovuto dirle che la mia inclinazione era del tutto sincera. Sarebbe stato semplicissimo, e nient'altro che giusto, confessarle apertamente: "io l'amo. Tutto ciò che la riguarda mi sta a cuore come ciò che riguarda me. Per molte belle e buone ragioni desidero renderla felice". Ma poiché non me n'ero più dato cura, lei se ne era andata.
"Ho raccolto i fiori solo per deporli sulla mia infelicità?" mi domandai, e il mazzolino mi cadde di mano. M'ero alzato per ritornare a casa: era già tardi, e tutto si era fatto buio. - (pag. 96-99).

domenica 27 ottobre 2013

Guillaume Apollinaire, Vitam impendere amori



Guillaume Apollinaire, Vitam impendere amori, Finisterre, 2005


("Vitam impendere amori" può essere tradotto come "consacrare la vita all'amore o "sacrificare la vita per amore". Raccolta di sei poesie del poeta francese G. Apollinaire uscita nel 1918).





Il succo:



1.

L'amour est mort entre tes bras

Te souviens-tu de sa rencontre

Il est mort tu la referas

Il s'en revient à ta rencontre



Encore un printemps de passé

Je songe à ce qu'il eut de tendre

Adieu saison qui finissez

Vous nous reviendrez aussi tendre





1. (trad.)


L'amore è morto tra le braccia tue

Ricordi tu quando ti venne incontro

L'amore è morto lo ritroverai

Ecco ti viene incontro




Un'altra primavera se n'è andata

Penso che fu lieve

Addio tempo che muore

A noi più lieve tornerai ancora





domenica 13 ottobre 2013

Paul Auster, Follie di Brooklyn




Paul Auster, Follie di Brooklyn, Einaudi, 2005


Il succo:

- Non avevo idea di chi fossero i miei vicini e non me ne importava. Lavoravano tutti dalle nove alle cinque e nessuno aveva bambini, quindi il palazzo era relativamente silenzioso. E io, questo desideravo più di ogni altra cosa. Una fine silenziosa per la mia vita triste e ridicola. - (pag. 3).

- Le spiegai che probabilmente entro l'anno sarei morto, e non me ne fregava un cazzo di fare progetti. - (pag. 4).

- Sì... temo di essere un po' cattivo, a volte. Ma non sempre - e non per principio. - (pag. 4).

- ... tutti sappiamo quanti rischi si nascondono dietro le porte chiuse della vita familiare. Questa può essere un veleno per coloro che vi sono coinvolti, specialmente quando scopri che in partenza non eri tagliato per sposarti. - (pag. 4).

- ... finalmente mi venne un'idea che Rachel avrebbe approvato. Forse non era un'idea geniale, ma era qualcosa, e se l'avessi perseguita con fede e rigore come intendevo fare avrei avuto il mio progetto, il passatempo che cercavo per evadere dall'accidia della mia soporifera routine. E malgrado la protesta del progetto decisi di dargli un nome solenne, anzi alquanto pomposo - per illudermi di aver intrapreso un'opera importante. Lo intitolai il libro della follia umana, e pensavo di riportare in esso, con il linguaggio più semplice e chiaro possibile, il racconto di tutti gli svarioni e i capitomboli, i pasticci e i pastrocchi, le topiche e le goffaggini in cui ero caduto nella mia lunga e movimentata carriera di uomo. - (pag. 6/7).

- Leggere per me era evasione e conforto, era la mia consolazione, il mio stimolante preferito: leggere per il puro gusto della lettura, per il meraviglioso silenzio che ti circonda quando ascolti le parole di un autore riverberate dentro la tua testa. - (pag. 13).

- ... Poe e Thoreau... Un alcolizzato del Sud... reazionario in politica, con atteggiamenti aristocratici e una fantasia spettrale. E un astemio del Nord... di idee rivoluzionarie, puritano nella condotta e chiaroveggente nella sua opera. Poe era artificio, e il buio di una mezzanotte al chiuso. Thoreau era semplicità, e la radiosità della vita all'aperto. Ma con tutte le loro differenze, nacquero ad appena otto anni di distanza, ... E morirono giovani: l'uno a quaranta, l'altro a quarantacinque anni. ... né l'uno né l'altro lasciarono figli.
... Ciascuno a modo suo, e in un modo follemente idiosincratico, si assunsero il compito di reinventare l'America. ... Poe si batteva a favore di una nuova letteratura autoctona, una lettura americana libera dagli influssi inglesi ed europei. L'opera di Thoreau rappresenta un'attacco ininterrotto allo stato delle cose, una battaglia per trovare una via nuova per vivere qui. Entrambi credevano nell'America, ed entrambi credevano che l'America fosse precipitata all'inferno, che fosse sempre più stritolata dalla crescita di una montagna di macchine e di soldi. Come poteva, un uomo, pensare in mezzo a tutto quel clamore? Entrambi volevano venirne fuori. Thoreau si eclissò nei dintorni di Concord fingendo un esilio volontario nei boschi ... Dal canto suo Poe si ritrasse in un sogno di perfezione. ... Perché il fatto è che l'America era davvero precipitata all'inferno. Era un paese spaccato in due, e tutti sappiamo che cosa accadde solo un decennio più tardi. Quatro anni di distruzione e morte. Un bagno di sangue umano determinato proprio da quelle macchine che avrebbero dovuto rendere tutti ricchi e felici. - (pag. 15-16).

- Quando attraversi Times Square alle tre e mezza del mattino e tutto il traffico è sparito, d'un tratto sei solo al centro del mondo, con il neon che ti rovescia addosso da ogni angolo del cielo. O spingi il tachimetro oltre i centodieci sulla Belt Parkway poco prima dell'alba e senti il profumo dell'oceano inondarti dal finestrino aperto. O sei sul ponte di Brooklyn nel preciso istante in cui la luna piena sale dentro l'arcata, ed è tutto quello che vedi, la rotondità gialla e brillante della luna, così grande da farti paura, e dimentichi di vivere quaggiù sulla terra, e pensi di volare, che il taxi abbia le ali e stia davvero volando nello spazio. Nessun libro può ricreare queste sensazioni. - (pag. 27-28).

- Non è cosa da poco dover ricominciare la propria vita a cinquantasette anni; e quando un uomo non dispone di altre carte che il cervello che ha in testa e la lingua che ha nella bocca, deve pensarci bene prima di decidersi ad aprire quella bocca e parlare. - (pag. 31).

- "Tu credi che io scherzi", ribattei, "ma invece sto parlando sul serio. Ti elargisco le perle della mia saggezza. Qualche consiglio dopo una vita passata a sgobbare nelle trincee dell'esperienza. Truffatori e imbroglioni dominano il mondo. I furfanti imperversano. E sai perché?"
"Dimmelo, Maestro. Son tutto orecchi."
"Perché hanno più fame di noi. Perché sanno cosa vogliono. Perché credono nella vita più di noi." ...
"Io invece sto parlando di istinto di sopravvivenza, Tom... della volontà di vivere. Preferisco mille volte un furfante astuto ad un pio allocco. Forse il primo non rispetterà le regole del gioco, ma ha lo spirito. E quando trovi un uomo dotato di spirito c'è sempre speranza per il mondo." - (pag. 47-48).

- Quando hai vissuto a lungo come me tendi a pensare di aver ascoltato di tutto, di non poterti più stupire di nulla. Ti viene pure voglia di vantarti della tua esperienza del mondo e poi, ogni tanto, ti ritrovi di fronte a qualcosa che ti catapulta fuori dal bozzolo di goduta superiorità, ricordandoti da capo della vita non capisci un bel niente. - (pag. 61).

- Non ero mai stato in un albergo, ma quando andavo in centro con mia madre ne vedevo abbastanza da sapere che erano posti speciali, fortezze che ti proteggevano dallo squallore e dalla meschinità della vita quotidiana. Adoravo quegli uomini in livrea blu ritti davanti al Remington Arms. Adoravo i riflessi delle finiture d'ottone sulla porta girevole dell'Excelsior. Adoravo l'enorme lampadario appeso all'atrio del Ritz. L'unico scopo di un'albergo era renderti felice rilassato, e una volta che avevi firmato il registro ed eri salito in camera non dovevi fare altro che chiedere qualcosa e l'avresti avuta. L'hotel rappresentava la promessa di un mondo migliore, un luogo che era più di un semplice luogo, era un'opportunità, era un'occasione per vivere dentro ai tuoi sogni. - (pag. 88).

- Ogni uomo ha in sé diversi uomini, e la maggior parte di noi rimbalza da un'identità all'altra senza nemmeno sapere chi è. Un giorno su e un altro giù: imbronciati e taciturni al mattino, ridanciani e pronti alla battuta la sera. - (pag. 107).

- ...il bello di Kafka è che non lo perdi più. Quando ti sei tuffato nella sua opera non la dimentichi. ... Kafka non era solo un grande scrittore, era anche un uomo eccezionale. ...
... Mai sentita la storia della bambola? ...
... Tutti i pomeriggi Kafka va a fare una passeggiata nel parco. Generalmente lo accompagna Dora. Un giorno incontra una bambina in lacrime, che singhiozza da farsi scoppiare il petto. Kafka le chiede che cosa c'è che non va e la bambina risponde che ha perso la sua bambola. Lui subito comincia ad inventare una storia per spiegarle l'accaduto. "La tua bambola è andata a fare un giro", le dice. Lei gli chiede: "E tu come lo sai?" "Perché mi ha scritto una lettera", le risponde Kafka. La bambina sembra sospettosa. "Ce l'hai qui?" gli domanda. "No, mi spiace, -fa lui. - "L'ho lasciata a casa per sbaglio, ma domani la porterò con me". E' così convincente che la bambina non sa più cosa pensare. Possibile che quell'uomo misterioso stia dicendo la verità?
Kafka torna subito a casa per scrivere la lettera. Si siede a tavolino e Dora, osservandolo mentre scrive, nota la stessa serietà che mostra quando sta componendo la sua opera. Non vuole prendere in giro la bambina. Questa è una vera fatica letteraria, e lui è deciso a compierla nel migliore dei modi. Se riuscirà a presentare alla bambina una una bugia bellissima, e convincente, sostituirà la bambola perduta con una realtà diversa: falsa, forse, ma veritiera e credibile secondo le leggi della narrativa.
L'indomani Kafka si precipita al parco con la lettera. La bambina lo sta aspettando, e dato che non ha ancora imparato a leggere gliela legge lui ad alta voce. La bambola è molto spiacente, ma si è stancata di vivere sempre con le stesse persone. Ha bisogno di muoversi e vedere il mondo, di fare nuove amicizie. Non è che non voglia bene alla bambina, però desidera cambiare aria, perciò dovranno separarsi per qualche tempo. Infine la bambola promette che scriverà alla bambina ogni giorno e la terrà al corrente di quello che sta facendo.
E' da qui che la storia comincia a farmi venir voglia di piangere. Già è incredibile che Kafka si sia preso il disturbo di scrivere quella prima lettera, ma ora si dedica al progetto di scriverne una una nuova ogni giorno... al solo scopo di consolare la bambina, che fra l'altro per lui è una perfetta estranea, un esserino incontrato per caso un pomeriggio in un parco. Che tipo di uomo fa una cosa simile? E, Nathan... è andato avanti per tre settimane. Tre settimane. Uno degli scrittori più geniali che siano mai vissuti ha sacrificato il suo tempo... un tempo sempre più scarso e prezioso... per comporre le lettere immaginarie di una bambola smarrita. Secondo la testimonianza di Dora scriveva ogni frase con una cura maniacale del dettaglio, e la sua prosa era precisa, spiritosa e avvincente. In parole povere, era la prosa di Kafka, e lui per tre settimane andò tutti i giorni al parco e scrisse ogni volta una nuova lettera alla bambina. La bambola diventa grande, va a scuola, conosce altre persone. Continua a ripetere alla bambina che le vuole bene, ma allude a certe complicazioni che le rendono impossibile il ritorno. A poco a poco Kafka prepara la bambina per il momento in cui la bambola sparirà dalla sua vita per sempre. Si spreme per creare un finale soddisfacente temendo che se non lo troverà si possa rompere l'incantesimo. Dopo aver vagliato alcune ipotesi, alla fine decise di far sposare la bambola. Descrive il giovanotto di cui lei si innamora, la festa di fidanzamento, le nozze in campagna, perfino la casa dove ora abitano la bambola e suo marito. E poi, nell'ultima riga, la bambola dice addio alla sua vecchia e affezionata amica.
Ma a questo punto naturalmente la bambina non sente più la mancanza della bambola. Kafka le ha dato in cambio qualcos'altro, e alla fine delle tre settimane le lettere l'hanno guarita dal suo cruccio. Lei ha la storia, e quando una persona è abbastanza fortunata da vivere all'interno di una storia, da vivere in un mondo immaginario, i dolori di questo mondo svaniscono. Perché fino a quando la storia continua, la realtà non esiste più. - (pag. 133, 134, 135).

-  Desidero parlare della felicità e del benessere, di quei momenti rari e inaspettati in cui la voce dentro la tua testa tace e ti senti tutt'uno con il mondo.
Desidero parlare del clima ai primi di giugno, di armonia e benefico riposo, dei pettirossi e dei fringuelli gialli e degli uccelli azzurri che guizzano oltre le foglie verdi degli alberi.
Desidero parlare dei vantaggi del sonno, dei piaceri del cibo e dell'alcool, di quello che succede alla tua mente quando esci nella luce solare delle due del pomeriggio e senti il caldo abbraccio dell aria attorno al corpo.
Desidero parlare di Tom e Lucy, di Stanley Chowder e dei quattro giorni che passammo a Chowder Inn, dei pensieri pensati e dei sogni sognati in cima a quell'altura, del Vermont meridionale.
Desidero ricordare i crepuscoli cerulei, le languide albe rosa, gli orsi che di notte uggiolavano nel bosco.
Desidero ricordare tutto. Se tutto è chiedere troppo, almeno una parte. No, di più. Quasi tutto. Quasi tutto, con qualche spazio vuoto riservato ai pezzi mancanti. - (pag. 145).

- Ho iniziato da poco una vita da solo a e sono più che soddisfatto della mia decisione di stabilirmi a Brooklyn. Dopo tutti quegli anni nei sobborghi trovo che la città mi sia consona, e mi sono già affezionato al mio quartiere, con il suo mutevole calderone di bianchi e mori e neri, il suo coro a più strati di accenti esotici, i suoi bambini e i suoi alberi, le sue famiglie piccolo-borghesi che faticano, le coppie lesbiche, i negozi di alimentari coreani, il santone indiano barbuto in tunica bianca che si inchina ogni volta che ci incontriamo per la strada, i nani e gli storpi, i vecchi pensionati che arrancano a passettini sul marciapiede, le campane delle chiese e i diecimila cani, la popolazione sotterranea dei rovistarifiuti senzacasa solitari che spingono i carrelli del supermercato lungo i viali e cercano bottiglie nella spazzatura. - (pag. 157).

-  I vecchi amori ti restano dentro, è dura mandarli via. - (pag. 203).

- Prova a seguire la corrente. Tieni alta la guardia. Non lasciarti infinocchiare. Vota democratico a tutte le elezioni. Pedala nel parco. Sogna il mio corpo perfetto e dorato. Prendi le tue vitamine. Bevi otto bicchieri di acqua al giorno. Fai il tifo per i Mets. Guarda un sacco di Film. Non lavorare troppo. Vieni con me a fare un viaggio a Parigi. Accompagnami all'ospedale quando Rachel avrà il bambino, e prendi in braccio mio nipote. Lavati i denti dopo ogni pasto. Non attraversare con il rosso. Difendi i piccoli. Non farti mettere la testa sotto i piedi. Ricorda quanto sei bella. Ricorda quanto ti amo. Bevi uno scotch con ghiaccio tutti i giorni. Respira a fondo. Tieni gli occhi aperti. Stai lontana dai cibi troppo grassi. Dormi il sonno dei giusti. Ricorda quanto ti amo. - (pag. 255).

- Io non ero nessuno. Rodney Grant non era nessuno. Omar Hassim-Alì non era nessuno. Javier Rodriguez - il falegname in pensione di settantotto anni che occupò il letto a partire dalle quattro - non era nessuno. Alla fine tutti saremo morti, e quando i nostri corpi fossero stati portati via e sepolti sottoterra solo i nostri parenti e nostri amici avrebbero saputo che ce n'eravamo andati. Le nostre morti non sarebbero state annunciate alla radio e alla televisione. Non avremmo avuto "coccodrilli" sul "New York Times". Nessun libro sarebbe stato scritto su di noi. Questo è un onore riservato agli individui celebri e potenti, a chi e dotato di qualità eccezionali, ma chi si degnerebbe di pubblicare le biografie della gente comune, senza fama, di tutti i giorni, che incontriamo per strada e non ci diamo neanche la pena di notare?
La maggior parte delle vite svanisce. Una persona muore, e apoco a poco tutte le tracce di quella vita spariscono. Un inventore sopravvive nelle sue invenzioni, un architetto nei suoi edifici, ma la maggior parte della gente non si lascia alle spalle monumenti o prodotti duraturi: uno scaffale di album di fotografie, una pagella della quinta elementare, una coppa vinta a Bowling, un posacenere sgraffignato da una stanza d'albergo della florida l'ultima mattina di una vacanza di cui si ha un vago ricordo. Qualche oggetto, qualche documento, e una spolverata di impressioni sugli altri. Altri che raccontano sempre qualche storia sul morto, ma perlopiù le date sono incerte, i fatti vengono omessi, la verità è sempre più distorta; e quando a loro volta quelle persone muoiono, quasi tutte le storie spariscono con loro. - (pag. 262).

domenica 15 settembre 2013

Ian McEvan, L'inventore di sogni




Ian McEwan, L'inventore di sogni, Einaudi, 2010


Il succo:


- Quando Peter Fortune aveva dieci anni, i grandi dicevano che era un bambino difficile. Lui però non capiva in che senso. Non si sentiva per niente difficile. ...
... Fu solo quando era ormai grande da un pezzo che Peter finalmente capì. La gente lo considerava difficile perché se ne stava sempre zitto. E a quanto pare questo dava fastidio. L'altro problema era che gli piaceva starsene da solo. ... Gli piaceva stare da solo, e pensare i suoi pensieri. ... 
Non aveva niente in contrario a stare con gli altri quando era il caso. Ma la gente esagera. Anzi, secondo lui, se si fosse sprecato un po' meno tempo a stare insieme e a convincere gli altri a fare lo stesso, e se ne fosse dedicato un po' a stare da soli e a pensare a chi siamo e chi potremmo essere, allora il mondo sarebbe stato un posto migliore, ... - (pag.3-4-5).

- Peter, crescendo, imparò che, siccome la gente non riesce a vedere che cosa ti sta passando nel cervello, la cosa migliore per farsi capire, è dirglielo. E così incominciò a scrivere alcune delle avventure che gli capitavano mentre guardava dalla finestra o se ne stava sdraiato a fissare il cielo. - (pag. 12)



Il Gatto

- Svegliandosi al mattino, Peter non apriva mai gli occhi prima di aver risposto a due semplici domande. Uno: chi ero, già? Ah, si, Peter, un bambino di dieci anni e mezzo. Due, sempre con gli occhi chiusi: che giorno è oggi? E la risposta gli piombava addosso, realtà palpabile e ferma come una montagna. Martedì. Un altro giorno di scuola. Allora si tirava le coperte sulla testa e andava a rannicchiarsi tutto dentro il suo tepore facendosi inghiottire da quel buio amico. Riusciva quasi a far finta di non esistere, ma sapeva che gli sarebbe toccato saltar fuori, prima o poi. Era proprio martedì, per tutto il mondo. La terra stessa, cigolando nello spazio freddo girando e roteando intorno al sole, aveva portato tutti quanti a martedì e non c'era niente che né Peter né i suoi genitori e neppure il governo potessero fare per cambiare la situazione. Doveva alzarsi, se non voleva perdere l'autobus e fare tardi, e finire nei guai. ...
... C'era però anche un quinto membro della famiglia, il quale non aveva mai furia e ignorava tutto quel finimondo. Se ne stava sdraiato sulla mensola sopra il calorifero, con gli occhi socchiusi, dando appena in qualche sbadiglio di quando in quando. Erano sbadigli enormi, offensivi. La bocca si spalancava rivelando una bella lingua rossa e quando finalmente tornava a chiudersi, il corpo intero, dal baffo alla punta della coda, era percorso da un fremito pigro: William, il gatto, si preparava a vivere un'altra giornata. ...
... Nei pomeriggi d'inverno, di ritorno da scuola, non c'era cosa che Peter amasse di più che sfilarsi con un calcio le scarpe e sdraiarsi davanti al fuoco del tinello accanto al gatto William. Gli piaceva mettersi giù all'altezza di William e poi andargli vicino con la faccia a guardare la sua, quella faccia straordinaria diversa e bellissima, con ciuffi di pelo nero che si aprivano a raggio intorno al musetto, e i baffi bianchi leggermente piegati all'in giù, e i peli del sopracciglio sparati dritti come antenne della televisione, e gli occhi verde chiaro con quelle fessure strette come porte socchiuse su un mondo nel quale Peter non sarebbe mai potuto entrare. ...
...Fu proprio in uno di quei pomeriggi, e proprio di martedì, guarda caso, le quattro appena e fuori già quasi buio, le tende tirate e la luce accesa, che Peter si accomodò sul tappeto vicino a William, davanti a un bel fuoco le cui fiamme si arricciavano intorno a un grosso ciocco di legno d'olmo. ...
... "Vuoi che ti accarezzo il mento, è?" sussurrò. Ma non era così. Il gatto voleva essere toccato esattamente all'attaccatura del collo. Peter sentì qualcosa di duro. ... un piccolo ovale schiacciato nel mezzo e, cosa ben più incredibile, si accorse che era attaccato alla pelle di William. ... Era come se stesse tirando l'estremità di una cerniera lampo. Tirò ancora e questa volta lo squarcio buio si fece lungo almeno due pollici. ... Aprì la cerniera del gatto dalla gola alla coda. ... Poi d'improvviso dal Gatto William  sgusciò...bé si insomma, una cosa, una creatura. ..."Tu devi essere lo spirito di William", disse Peter. ... Poi lo spirito volteggiò dietro la sua testa e non poté più vederlo. Lo sentiva però sfiorargli il collo e un leggero brivido gli corse giù per la schiena. Lo spirito del gatto afferrò qualcosa che doveva sporgere dalla sua spina dorsale e lo tirò giù, fino in fondo, e Peter sentì l'aria fresca della stanza solleticargli il tepore interno.
Era una sensazione stranissima, quella di uscire dal proprio corpo, come se niente fosse, per poi lasciarlo sdraiato per terra, come quando ci si sfila una camicia. ... I due spiriti volteggiarono un poco nell'aria l'uno di fronte all'altro. ... Il corpo era aperto come una porta. ... Peter discese ed entrò. Che bella cosa vestire i panni di un gatto. ...
...Lanciò un'ultima occhiata al proprio corpo, appena in tempo per vederci sparire dentro lo spirito del gatto William. ... Com'era piacevole camminare su quelle quattro zampette morbide e bianche. Si vedeva i baffi spuntare ai lati della faccia e si sentiva la coda arricciolarsi da dietro. ...
... Quella sera Peter si ritrovò troppo inquieto, agitato, troppo gatto, per dormire. Intorno alle dieci, sgusciò fuori di casa passando dalla ribaltina. ...
... Poco dopo, nel corso di un giro di ronda sul muro alto che sovrastava la serra, si ritrovò muso a muso con un altro gatto ...Era nero nero, ... si trattava dal gattone della porta accanto, un tipo gagliardo, quasi due volte lui, con un gran collo e lunghe zampe robuste. ...
..."Ehi, micio-micio" sibilò. "Stai camminando sul mio muretto".
Il gatto nero era molto sorpreso. Sorrise. "Vorrai dire che era il tuo muro, Nonnetto. Sentiamo un po' che vorresti fare?"
"Ti conviene girare alla larga, prima che ti faccia finire in basso". Peter non poteva credere alla forza che si sentiva dentro.
Il gatto nero sorrise di nuovo, con freddezza.
"Senti Nonnetto, Non è più il tuo muro da un pezzo. E io ci passo finché mi pare. Ora levati da mezzo se no ti apro in due". ... Tutto intorno, dal buio, arrivarono i gatti del vicinato a vedere che succedeva. Peter li sentiva parlare.
"Una zuffa?"
"Una zuffa!"
"Il vecchi deve essere impazzito!"
"Ha diciassette anni come minimo." ...
..."Preparati a diventare mangime per uccellini", ammonì il gatto nero, facendo un passo in avanti. Peter tirò un sospiro profondo. Doveva vincere per rendere giustizia al vecchio William. ...
... Si lanciò immediatamente all'attacco e spinse il gattone con le zampe anteriori. Questa non era una mossa consueta nei combattimenti fra gatti e il campione fu colto alla sprovvista. diede in un miagolio di sorpresa e, scivolando sulle zampe posteriori, cadde dal muro finendo a testa prima nel tetto della serra sottostante. ...
... Lo sentirono imprecare.
"Non vale. Le unghie e i denti, d'accordo. Ma dare spintoni a quel modo. Non vale e basta."
"La prossima volta", gli gridò dietro Peter "impari a chiedere prima il permesso.
Il gatto nero non replicò, ma quella sua ritirata sbilenca lasciava intendere che avesse afferrato il concetto.
Il mattino dopo, Peter se ne stava sdraiato sul calorifero con il capo appoggiato a una zampa e l'altra ciondoloni nell'aria calda che saliva. Intorni a lui era tutto un andirivieni frenetico. ...
...Il gatto Peter socchiuse gli occhi. Dopo quella vittoria si sentiva stanchissimo. Tra non molto tutta la famiglia sarebbe stata fuori, e la casa sarebbe piombata nel silenzio. ...
...La giornata trascorse esattamente come aveva sperato. Tra un sonnellino, una lappata di latte, un altro sonnellino, qualche boccone di cibo per gatti in scatola, che a onor del vero non era poi così atroce come l'odore lasciava supporre: una specie di pasticcio di carne tritata, ma senza il purè di contorno. E poi ancora dormire. ...
... Aveva gli occhi chiusi, quando la porta si spalancò e comparve il Bambino William.
"Ehi Peter," disse Kate, "non hai nemmeno bussato."
Ma il suo fratello-gatto non le diede retta. Attraversò la stanza, afferrò il suo gatto-fratello e se lo portò via di corsa. ... "Shh," disse "non abbiamo tanto tempo".
William portò il gatto in soggiorno e lo mise giù.
"Sta' fermo," sussurrò il bambino. "Fa' come ti dico. Mettiti sulla schiena."... Trovò quel pezzettino di osso liscio e lo tirò giù. Peter sentì l'aria fresca entrargli in corpo. Uscì dal gatto. Il Bambino intanto si stava cercando la cerniera sulla schiena e, quando l'ebbe trovata, l'aprì. ... Per un momento i due spiriti, quello del gatto e quello del bambino si ritrovarono uno di fronte all'altro, sospesi a mezz'aria sopra il tappeto. La sotto, giacevano immobili i rispettivi corpi, ... Nella stanza aleggiava una certa tristezza.
Sebbene lo spirito del gatto non dicesse niente, Peter sentì che il messaggio era, "Devo tornare. Mi aspetta un altra avventura. Grazie per avermi permesso di fare il Bambino. Ho imparato tantissime cose che mi serviranno in futuro. Ma soprattutto, grazie per aver combattuto la mia ultima battaglia." ...
... Sdraiato a terra, nel tentativo di riadattarsi al corpo di sempre, Peter notò qualcosa di strano. Il fuoco avvolgeva ancora di fiamme lo stesso ciocco di legno d'olmo. ... Si stava facendo buio. Non era sera, doveva essere ancora tardo pomeriggio. Dal giornale appoggiato vicino alla sedia, constatò che era sempre martedì. Ed ecco un'altra stranezza. Sua sorella Kate stava entrando di corsa in soggiorno, piangendo. E dietro di lei, c'erano anche mamma e papà, con l'aria triste.
"Oh, Peter," esclamò sua sorella. "E' successa una cosa terribile."
"Il gatto William," spiegò sua madre. "Purtroppo è ...
"E' entrato in cucina," disse suo padre. "E' salito sulla mensola preferita, quella sul calorifero, ha chiuso gli occhi, ed è ... morto." ...
...Peter si alzò lentamente. Quelle due gambe non gli parevano un buon sostegno.
"Si," disse alla fine. "Ormai era pronto per altre avventure."

martedì 10 settembre 2013

Jean-Pierre Vernant, La morte eroica nell'antica Grecia



Jean-Pierre Vernant, La morte eroica nell'antica Grecia, il melangolo, 2007

Il succo:


- Achille è, così, l'immagine stessa del guerriero e delle virtù: non solo il coraggio, ma anche quella forma di morale aristocratica che fa da sfondo alla morte eroica, e in cui un uomo è kalòs kagatòs, "bello-buono"... - (pag. 6).

- Achille ha dovuto sceglier tra due vite. O una vita tranquilla e dolce, una vita lunga con una donna, e i figli, e il padre, e poi la morte al termine del cammino, nel suo letto, come accade a tante persone anziane: sparire in una specie di mondo oscuro, tra volti vestiti di notte in cui nessuno ha nome né individualità, nell Ade, diventare ombra inconsistente, e poi più niente, e nessuno. O, al contrario, quella che i Greci chiamano vita breve e bella morte, kalos thànatos. Non c'è bella morte senza vita breve. - (pag. 7-8).

- Come c'è un onore eroico che non è l'onore ordinario, c'è una morte eroica in battaglia che non è una morte ordinaria. Perché? Perché il giovane uomo nel fiore degli anni e della bellezza che cada in battaglia non vedrà sul suo corpo gli avvizzimenti, il rammollimento che l'età reca ai mortali. E' la legge del genere umano: si nasce, si cresce, si diventa efebo, giovane uomo, uomo "fatto", e poi, poco a poco, contrariamente a quanto accade agli dèi, ci si indebolisce, deteriora, degrada, si diventa un vecchio stanco che sragiona e che presto morirà; ed è come se non avesse vissuto. Ma se uno muore al momento di dimostrare chi è nel fiore della sua giovinezza, la sua esistenza sfuggirà all'usura del tempo, alla mortalità ordinaria. - (pag 11-12).

- La morte eroica procura non solo un onore incomparabile ma realizza il paradosso di una creatura umana mortale, effimera, votata al ciclo - il passaggio attraverso differenti tappe fino alla misera morte - che caratterizza l'uomo e lo oppone agli dèi. - (pag. 15).

- Come arrivare a compiere un'impresa che mi distingue dai comuni mortali? Non come un dio, ma come se lo splendore divino si fosse posato su di me, un mortale, quasi la bellezza di Afrodite su una bella fanciulla, e d'un tratto l'umana vita fosse rischiarata, divenisse altra anche grazie all'eroismo di alcuni guerrieri.
Ecco, almeno credo, uno dei sensi della morte eroica, e questo ci invita a comprendere che in questo sforzo all'interno della concezione greca dell'uomo - una concezione molto terra terra -, la vita, la felicità della vita, il coraggio, la forza, l'impetuosità, la giovinezza, il piacere amoroso sono i veri valori che contano. Ma tutto ciò si sfilaccia, non è niente. Come posso allora trovare il modo per attingere almeno un poco di quella stabilità dell'esistenza che attribuisco agli dèi? Questa stabilità consiste nel fatto che il mio nome, la mia esistenza singolare, quel che ho fatto, quel che sono stato, resteranno inscritti per sempre nella memoria degli uomini in due modi. Il primo luogo i poeti nei loro canti celebreranno quello che i Greci chiamano kléos àphithion, una gloria cantata, imperitura; senza fine Achille sarà cantato di generazione in generazione. Quindi, la memoria funebre: una tomba sarà costruita con una stele su cui il nome di Achille e poche parole, talvolta un verso o due, saranno incisi. - (pag. 21).

- Ecco una soluzione all'umana condizione: trovare nella morte il modo di oltrepassare questa condizione umana, vincere la morte con la morte stessa, facendo in modo di dare alla morte il senso che non ha, perchè la morte ne è assolutamente priva. - (pag. 26).

- L'immortalità, il kléos àphithiton, che la morte eroica conferisce, non passa le frontiere dell'Ade: è tra i vivi che Achille è conosciuto ma, nel regno dei morti, Achille cessa di esistere. Tuttavia, in questa morte eroica e dietro questa specie di idea di morte, cui i Greci hanno tentato di dare forma vi è anche questa affermazione per cui la vita vale la pena di essere vissuta se noi le doniamo un senso, e questo senso non è fuori dalla vita, in un aldilà esteriore; gli dèi sono qui, nel mondo, ma è un mondo inaccessibile, c'è una frontiera. Vi sarà certo un culto eroico ma, al fondo, la vita e la morte di quanti sono stati vivi è affare dei vivi. Siamo noi ad essere eredi di ciò. E' la continuità nella civilizzazione del canto dei poeti, della gloria di Achille e di Ulisse; è questa la portata della morte eroica, e non, come abbiamo tendenza a pensare e sperare, l'entrata in un altro mondo, in un aldilà, la ricompensa di una sorta di paradiso in cui noi saremo ancora noi stessi ma nella forma di un'individualità senza rapporto con ciò che eravamo da vivi. - (pag. 31-32).

martedì 20 agosto 2013

Thomas Bernhard, Il soccombente



Thomas Bernhard, Il soccombente, Adelphi, 1999


Il succo:

- E forse questa carriera da me infranta tutt'a un tratto, pensai entrando nella locanda, è una parte indispensabile del mio processo di intristimento. Noi tutti sperimentiamo ogni sorta di cose per poi spezzare di continuo questi esperimenti, gettiamo tutt'a un tratto decenni di esistenza nel mucchio dei rifiuti. - (pag. 21).

- Fin da principio Wertheimer ed io amammo New York. Non solo è la città più bella del mondo, è anche quella che ha l'aria più salubre, ci dicevamo in continuazione, in nessun altra parte del mondo abbiamo mai respirato un'aria migliore. Glenn confermava quel che noi sentivamo: New York è l'unica città al mondo nella quale un uomo d'ingegno può respirare liberamente non appena vi mette piede. - (pag.25).

- Tutti gli istituti di insegnamento superiore sono cattive scuole, e quello che noi frequentiamo è sempre il peggiore di tutti se non riesce ad aprirci gli occhi. Che razza di miserabili maestri abbiamo dovuto sopportare, han davvero violato le nostre menti. tutti quanti rapinatori dell'arte, annientatori dell'arte, uccisori dell'ingegno, assassini di studenti. - (pag.25).

- Detestava le persone che parlano senza aver finito di pensare, quindi detestava quasi tutta l'umanità. E da questa umanità da lui detestata si era in effetti ritirato già da più di vent'anni. - (pag.30-31).

- Non è certo necessario, diceva, vivere con una persona per stabilire con questa un fortissimo, ineguagliabile legame. - (pag.40).

- La mia inesauribile curiosità ha impedito il mio suicidio, così lui, pensai. Noi non perdoniamo al padre di averci fatti, alla madre di averci gettati nel mondo e alla sorella di essere la perpetua testimone della nostra infelicità. Esistere, in sostanza, non significa nient'altro che questo: essere disperati, così lui. - (pag. 56).

- Ciò che lo affascinava erano gli esseri umani nella loro infelicità, non lo attraevano le persone in sé, ma la loro infelicità, e l'infelicità la coglieva dovunque ci fossero delle persone, pensai, era avido di persone perché avido di infelicità. L'uomo è l'infelicità, diceva di continuo, pensai, solo gli imbecilli affermano il contrario. Essere partoriti è un'infelicità, diceva, e fintanto che viviamo ci portiamo appresso questa infelicità, che soltanto la morte può spezzare. Ma ciò non significa che noi siamo solo infelici, la nostra infelicità è la premessa per poter essere anche felici, solo passando attraverso l'infelicità possiamo essere felici. - (pag.  74).

- Le amicizie, pensai, l'esperienza lo dimostra, sono possibili alla lunga soltanto se si fondano su un comune retroterra, tutto il resto, pensai, è pura illusione. - (pag. 81).

- Per tutta la vita ci sforziamo di evitare il dilettantismo ma esso di continuo ci rincorre e ci raggiunge, pensai, e non c'è nulla che noi desideriamo con maggior intensità che sottrarci per sempre al dilettantismo dal quale veniamo continuamente raggiunti. (pag. 86).

- Dobbiamo sapere fin dall'inizio quel che vogliamo, pensai, già da bambini dobbiamo aver chiaro in testa ciò che vorremmo essere da grandi, ciò che vorremmo, che dovremmo ottenere. - (pag. 86).

-  La nostra esistenza consiste nell'essere e nel lottare perennemente contro la natura, diceva Glenn, lottiamo contro la natura fino a quando rinunciamo a questa lotta perché la natura è più forte di noi, noi che per arroganza ci siamo trasformati in un prodotto artificiale. Noi non siamo in effetti esseri umani, noi siamo prodotti artificiali, l'uomo che suona il pianoforte è un prodotto artificiale, un prodotto disgustoso, diceva lui per concludere. - (pag. 92)

- ... già prima di conoscere Glenn avevo pensato di smettere di suonare ritenendo insensata la mia fatica; sempre, qualsiasi cosa mi fossi messo a fare, ero stato il migliore, ed essendo a questo non avevo remore al pensiero di smettere, di dare un taglio a un'attività insensata, benché fossero in molti a dirmi e ridirmi che appartenevo in effetti alla schiera dei migliori, ma a me non bastava appartenere alla schiera dei migliori, io volevo essere o il migliore in assoluto o nessuno, e così cessai di suonare e regalai il mio Steinway alla famiglia del maestro di musica di Altmunster, pensai. - (pag. 96).

- ... io ho sempre voluto essere soltanto me stesso, Wertheimer invece è sempre stato uno di quelli che continuamente e per tutta la vita e riducendosi in uno stato di perenne disperazione vogliono essere qualcun altro, qualcuno che devono credere per forza favorito dalla sorte di loro, pensai. - (pag. 104).

- Wertheimer non era capace di vedere se stesso come un essere unico al mondo, mentre in effetti è così che ciascuno di noi può e deve concedersi di vedere se stesso se non vuole cadere in balia della disperazione, ogni essere umano, comunque sia fatto, è un essere unico al mondo, io stesso me lo dico di continuo e con questo son salvo. - (pag. 105).

- Probabilmente dobbiamo supporre che no esistano affatto esseri umani cosiddetti infelici, pensai, dal momento che perlopiù siamo noi che rendiamo infelici gli esseri umani sottraendo ad essi la loro infelicità. - (pag. 117).

- Partiti con l'idea di diventare dei grandi virtuosi, i nostri vecchi compagni di studi vivacchiano da decenni come maestri di pianoforte, pensai, si fanno chiamare maestri del conservatorio di musica e trascinano la loro esistenza disgustosa di poveri insegnanti in balia dello scarso talento dei loro allievi nonché della megalomania e dell'avidità artistica dei genitori di questi allievi, e intanto sognano nelle loro case piccolo-borghesi la pensione dell'insegnante di musica. - (pag. 122).

- Dovunque ci guardiamo intorno, vediamo degli ipocriti che non fanno che dire di vergognarsi del denaro che hanno e che altri non hanno, mentre in fondo è più che naturale che alcuni abbiano del denaro e altri non ne abbiano, e che poi ad un tratto questi ultimi ne abbiano e gli altri viceversa rimangano senza, le cose stanno così e non cambieranno mai, la colpa non è di quelli che il denaro ce l'hanno e neanche di quelli che non ce l'hanno e così via dicendo, pensai, ma questo non lo capiscono né gli uni né gli altri, perché in ultima analisi sia gli uni sia gli altri conoscono soltanto l'ipocrisia. - (pag. 126).

- Noi non possiamo sceglierci il nostro luogo di nascita, pensai. Tuttavia da questo luogo di nascita possiamo andarcene se esso rappresenta per noi una minaccia di oppressione, anche se andare via e scappare dal luogo in cui siamo nati ci togli la vita se non riusciamo a cogliere il momento giusto per andar via e scappare.- (pag. 143).

- In teoria comprendiamo gli esseri umani, ma in pratica non li sopportiamo, pensai, il più delle volte stiamo con loro di malavoglia e sempre li trattiamo in base al nostro personale punto di vista. Eppure gli esseri umani, anziché basandoci sul nostro personale punto di vista, dovremmo trattarli e valutarli in base ad ogni possibile punto di vista, pensai, i nostri rapporti con loro dovrebbero essere tali da permetterci di dire che il modo in cui li abbiamo trattati non è stato per così dire inficiato da alcun tipo di prevenzione, ciò che non possiamo mai dire perché in realtà siamo sempre prevenuti nei confronti di ogni essere umano. - (pag. 147).

- I vecchi sono avari anche quando ormai non hanno più bisogno di nulla, anzi più diventano vecchi più diventano avari. - (pag. 154).

- Ma ovviamente gli uomini come noi, diceva, sentono di continuo una grande attrazione verso il tavolo del popolo. Eppure al tavolo del popolo non c'è proprio niente che ci possa interessare, così diceva, ricordo. Essere uno che esiste come autista di un camion di birra, pensai, e giorno dopo giorno caricare e scaricare le botti di birra e farle rotolare negli ingressi delle osterie dell'Alta Austria e sempre sedersi a un tavolo con tutte quelle donne sfacciate che gestiscono locande e osterie, e ogni giorno buttarsi nel letto stanco morto, per trenta o quarant'anni di seguito. - (pag. 160).

- Molto spesso le persone dedite a un lavoro intellettuale dichiarano di non dare importanza ai prodotti di questo lavoro, invece gliene danno moltissima, pensai, solo che non vogliono ammetterlo perché se ne vergognano. - (pag. 167).


mercoledì 7 agosto 2013

Truman Capote, Una casa a Brooklyn Heights



Truman Capote, Una casa a Brooklyn Heights, Archinto, 2006


Il succo:


- Abito a Brooklyn per elezione. ... Considerato nel suo insieme è un quartiere davvero poco attraente. Un concentrato di cattivo gusto... Eppure, in quel grigio sporco privo di verde, c'è qualche oasi di tanto in tanto: meravigliosa contraddizione, stupenda memoria di giorni più salubri. L'esempio più tipico di questi che oggi sembrano miraggi è la zona in cui sto io, Brooklyn Heights. Heights perché si erge su un'altura che permette una veduta a volo d'uccello dei ponti di Manhattan e di Brooklyn, del bagliore sospeso della bassa Manhattan, delle acque solcate dalle navi che educano il fiume a diventare oceano, e circondano e ribollono oltre Miss Libertà in posa. - (pag. 15/16).

- Così lo sforzo di dar nuova vita alle Heights procede da un decennio o anche più: si è anzi tentati di dire che si tratta ormai di un fait accompli. Sui davanzali fioriscono i gerani; secondo la stagione, lame di luce filtrano fra gli alberi oppure le foglie d'autunno bruciano all'angolo; carretti carichi di fiori passano per le strade e il venditore decanta la sua merce, ogni tanto può perfino capitare di sentire all'alba il canto del gallo, perché una signora ha un giardino con parecchie galline e un gallo. Nelle notti d'inverno, quando il vento porta dal fiume i segnali di saluto delle navi in partenza e trascina sui colmi dei tetti il fumo dei camini del fuoco serale, si ha la sensazione, fugace ma autentica come il guizzo della fiamma del caminetto, che il tempo ritorni come i cerchi nell'acqua, che sia possibile riafferrare i più grati riflessi del passato. - (pag. 25).

- Ai limiti delle Heights, appena prima che Brooklyn torni a chiamarsi soltanto Brooklyn, c'è una strada di zingari piena di caffè nei quali ci si può far predire il futuro o ci si può far fare un tatuaggio mentre si sorbisce un boccale di tè nero. C'è anche un quartiere arabo-armeno nel quale pullulano i ristoranti dove l'aria è greve di aromi e dove si possono acquistare, calde dal forno, certe focacce tutte crosta, coperte di semi di sesamo.- (pag. 46).

- Da bambini, siamo pronti a percepire il mistero: scatole sigillate, voci che bisbigliano dietro una porta, cose strane che si intravedono fra gli alberi, che si nascondono nel buio fra un lampione e l'altro. Ma poi, quando si cresce si impara a spiegare tutto, e vien meno la facoltà di procurarsi quel brivido che dà tanto piacere. Ed è proprio un peccato: dovremmo continuare per tutta la vita a credere nell'esistenza degli alberghi dei fantasmi. - (pag. 49).

- Qua e là, sul lungofiume, ci son spiaggette in miniatura e su una di queste una volta, una tranquilla domenica verso l'ora del tramonto, vidi qualcosa che mi fece dubitare dei miei occhi. Dopo aver guardato una seconda volta e poi una terza, ancora aveva tutta l'apparenza di una visione. Da queste parti si vedono tutti i giorni marinai di ogni genere, perfino indiani in sarong, perfino giganti senegalesi con le braccia di nero onice, di un nero cangiante in blu, con tatuaggi gialli, toraci impudenti e scritte vistose, come: Je t'aime, Hard Luck, Mimi Chang, Adios Amigo. Si vedono anche piccoli marinai russi, con le loro tenute svolazzanti che somigliano tanto a dei pigiama. Se ne vedono di tutti i tipi, insomma. Ma quei tre marinai scalzi che vidi accovacciati sulla spiaggia col volto estaticamente fisso in direzione del sole calante, mi parvero creature mitiche, tritoni - sirene, anzi, perché avevano i capelli lunghi come quelli delle donne, capelli striati di ciocche bianche, capelli da selvaggi che scendevano a coprir loro le spalle. E alle orecchie portavano lucenti anelli d'oro. Sia che fossero plenipotenziari giunti dai madreperlacei palazzi marini di Poseidone, o semplici marinai, o vichinghi provenienti dal gotico settentrione e reduci da un lungo viaggio su una nave priva di barbiere, essi hanno ormai per sempre un posto tutto loro in quella parte della mia memoria che custodisce i ricordi strani. Un ricordo prezioso come un cristallo inciso e sfaccettato, un ricordo da guardare e riguardare, alla luce e in controluce. - (pag. 51/52/53).


giovedì 13 giugno 2013

Raymond Carver, Racconti in forma di poesia



R. Carver, Racconti in forma di poesia, Minimum fax, 1999


Il succo:


- PAURA

Paura di vedere la macchina della polizia fermarsi davanti a casa.
Paura di addormentarsi la notte.
Paura di non addormentarsi.
Paura del ritorno del passato.
Paura del presente che fugge.
Paura del telefono che squilla nel cuore della notte.
Paura delle tempeste elettriche.
Paura della signora delle pulizie con un neo sul viso!
Paura dei cani che mi hanno detto che non mordono.
Paura dell'ansia!
Paura di dover identificare il cadavere di un amico.
Paura di finire i soldi.
Paura di averne troppi, anche se a questo non ci crederanno mai.
Paura dei risultati dei test psicologici.
Paura d'essere in ritardo e paura di arrivare prima degli altri.
Paura della calligrafia dei miei figli sulle buste.
Paura che muoiano prima di me e che mi sentirò in colpa.
Paura di dover vivere con mia madre anziana, anziano anch'io.
Paura della confusione.
Paura che questo giorno finisca su una brutta nota.
Paura di svegliarmi e scoprire che te ne sei andata.
Paura di non amare e paura di non amare abbastanza.
Paura che quel che amo risulterà letale per quelli che amo.
Paura della morte.
Paura di vivere troppo.
Paura della morte.
        L'ho già detta. - (pag.27)



- SEMPRE ALLA RICERCA DEL MEGLIO

Ora che sarai fuori per cinque giorni,
fumerò tutte le sigarette che vorrò, 
dove vorrò. Farò i biscotti e me li mangerò
con marmellata e grasso di pancetta. Poltrirò. Mi concederò
di tutto. Passeggerò sulla spiaggia se ne avrò 
voglia. E ne ho voglia, da solo
a pensare a quando ero giovane. Alle persone
che allora mi amavano alla follia.
E a come le amavo anch'io più di ogni altra.
Tranne una. Ti giuro che farò tutto
quel che voglio mentre sarai fuori!
Ma c'è una cosa che non farò.
Non dormirò nel nostro letto senza di te.
No. Non mi fa piacere farlo.
Dormirò dove cavolo mi pare...
dove dormo meglio quando sei fuori
e non ti posso abbracciare come faccio. 
Sul divano rotto del mio studio. -  (pag. 35)



- LA NOSTRA PRIMA CASA A SACRAMENTO

- ...
L'ho visto di persona
come può ridurre un uomo la frustrazione.
Può farlo piangere, può fargli sfondare
una parete a pugni. Può fargli sognare una casa tutta sua
alla fine di una lunga strada. Una casa
piena di musica, agio e generosità.
Una casa che non è stata ancora vissuta. -  (pag. 49)



- CHIUDERSI FUORI E POI CERCARE DI RIENTRARE

- Si esce e si chiude la porta
senza pensarci. E quando ci si volta 
a vedere quel che si è combinato
è troppo tardi. Se vi sembra la storia di una vita, d'accordo.
... -  (pag. 63)



- LETTURA

La vita di ognuno è un mistero, proprio come 
la vostra o la mia. Immaginate
un castello con le finestre che si affacciano
sul lago di Ginevra. Là sulla finestra 
nei giorni assolati e caldi c'è un uomo
così assorto nella lettura che non alza 
gli occhi. O se lo fa, usa un dito
come segnalibro, alza lo sguardo e scruta
al di là dell'acqua verso il Monte Bianco
e oltre, verso Selah, stato di Washington, 
dove sta con una ragazza 
e si sta ubriacando per la prima volta.
L'ultima cosa che ricorda, prima
di perdere i sensi, è che lei gli ha sputato in faccia.
Lui continua a bere 
e a farsi sputare addosso per anni.
Ma ci sarà gente che vi dirà
che le sofferenze rafforzano il carattere.
Siete liberi di pensarla come volete.
ad ogni modo, lui si rimette 
a leggere e non si farà venire i complessi 
di colpa per sua madre 
che va alla deriva sulla sua barca di tristezza, 
e preoccupazioni per i figli
e per i loro problemi senza fine.
Né ha intenzione di pensare alla
donna con gli occhi chiari che lui amava
e alla sua disfatta per mano di una religione orientale.
Il dolore di lei non ha inizio e non ha fine.
Si faccia pure avanti, nel castello o a Selah, 
chiunque possa vantare un legame con l'uomo
che siede tutto il giorno alla finestra a leggere
come il quadro di un uomo che legge.
si faccia pure avanti il sole. 
Si faccia pure avanti l'uomo stesso.
Ma che diavolo starà mai leggendo? -  (pag. 75)



- PIOGGIA

Mi sono svegliato stamattina con
una gran voglia di restare tutto il giorno a letto
a leggere. Ho cercato di combatterla per un minuto.

Poi ho guardato fuori dalla finestra alla pioggia.
E mi sono arreso. Mi sono affidato totalmente
alla custodia di questa mattinata piovosa.

Rivivrei la mia vita un'altra volta?
Rifarei gli stessi imperdonabili errori?
Sì, se appena potessi, sì. Li rifarei. -  (pag. 77)



-PIOPPI TREMULI

Immaginatevi un giovanotto, solo, senza nessuno.
appena qualche goccia di pioggia rigava i vetri
cominciava a scrivere.
Viveva in un appartamento in compagnia di topi.
Adoravo il suo coraggio.

Qualcun altro, qualche porta più giù, 
suonava dischi di Segovia tutto il giorno.
Non lasciava mai la stanza e nessuno poteva fargliene una colpa.
La sera sentiva la macchina da scrivere dell'altro
ticchettare e se ne sentiva confortato.

Musica e letteratura.
Tutti a sognare di cavalieri spagnoli 
e di cortili.
Processioni. Cerimonie e 
splendori.

Pioppi tremuli.
Giorni di pioggia e inondazioni.
Foglie che alla fine sono state martellate a terra.
Nel mio cuore, questo pezzo di terra 
illuminato dal temporale. -  (pag. 83)



- ALMENO

Una mattina vorrei alzarmi presto,
prima dell'alba. Perfino prima degli uccelli.
Voglio lavarmi il viso con l'acqua fredda 
e mettermi al tavolo da lavoro
appena il cielo schiarisce e il fumo 
comincia a salire dai comignoli
delle case.
Voglio vedere le onde infrangersi 
su questa costa rocciosa, non solo sentirle
come ho fatto tutta la notte nel sonno.
Voglio rivedere le navi 
che attraversano lo Stretto, provenienti da tutte 
le nazioni marinare del mondo...
vecchi, sporchi bastimenti che appena si muovono
oppure navi da carico nuove e veloci
dipinte di tutti i colori dell'arcobaleno
che tagliano l'acqua quando passano.
Voglio tenerle d'occhio.
Anche la barchetta che fa la spola
tra le navi
e la stazione dei piloti vicino al faro.
Voglio vedere quando sbarcano un uomo 
e ne prendono un altro a bordo.
Voglio passare la giornata a osservare questi eventi
e arrivare alle mie conclusioni.
Detesto sembrare troppo avido-ho già tanto
per cui essere grato.
Ma vorrei alzarmi presto un'altra mattina, almeno.
E andare al mio posto con un po' di caffè, per mettermi in attesa.
In attesa di vedere quel che accadrà. -  (pag. 87)



- IL MIO LAVORO

... 
L'amore sui loro volti giovani. La sua aura.
Magari durerà davvero per sempre. Se sono fortunati,
e buoni, e tolleranti. E attenti. Se riusciranno
a continuare ad amarsi senza risparmio.
E a essere sinceri l'uno con l'altro-soprattutto questo.
E lo saranno, naturalmente, lo saranno,
sanno benissimo che lo saranno. 
...      -                (pag. 247)



martedì 28 maggio 2013

Hermann Hesse, Siddhartha




Hermann Hesse, Siddhartha, Adelphi, 1973 (Rist. 2012)



Il succo:

- E un giorno passarono i samana attraverso la città di Siddhartha: asceti girovaghi, tre uomini secchi e spenti, né vecchi né giovani, con spalle impolverate e sanguinose, seminudi, arsi dal sole, circondati di solitudine, estranei e ostili al mondo, forestieri nel regno degli uomini come macilenti sciacalli. Spirava da loro un'aura di cheta passione, di devozione fino all'annientamento, di spietata rinuncia alla personalità. - (pag. 33).

- Vedeva i mercanti commerciare, i principi andare a caccia, la gente in lutto piangere i suoi morti, le meretrici far copia di sé, i medici affannarsi per i loro ammalati, i sacerdoti stabilire il giorno per la semina, gli amanti amare, le madri allattare i loro bimbi - e tutto ciò non era degno dello sguardo dei suoi occhi, tutto mentiva, tutto puzzava, puzzava di menzogna, tutto simulava significato e felicità e bellezza, e tutto era inconfessata putrefazione. Amaro era il sapore del mondo. La vita, tormento.
Una meta, una sola, si proponeva Siddhartha: diventare vuoto, vuoto di sete, vuoto di desideri, vuoto di sogni, vuoto di gioia e di dolore. - (pag 37).

- Disse Siddhartha: < Ciò che ho imparato fin ora presso i samana, o Govinda, avrei potuto impararlo più presto e più semplicemente. In qualunque bettola di malaffare, amico mio, tra carrettieri e giocatori di dadi, l'avrei potuto imparare >. ... < Che cos'è la concentrazione? Che cosa l'abbandono del corpo? Che cos'è il digiuno? Che cosa la sospensione del respiro? Tutto questo è fuga dall'Io, breve pausa nel tormento d'essere Io, è un effimero stordirsi contro il dolore insensato della vita. La stessa evasione, lo stesso effimero stordimento prova il bovaro all'osteria, quando si tracanna alcuni bicchieri d'acquavite o di latte di cocco fermentato. Allora costui non sente più il proprio Sé, allora non sente più le pene della vita, allora prova un effimero stordimento >. - (pag. 40).

- < Nella realtà non esiste, io credo, quella cosa che chiamiamo "imparare". C'è soltanto, o amico, un sapere, che è ovunque, che è Atman, che è in me e in te e in ogni essere. E così comincio a credere: questo sapere non ha nessun peggior nemico che il voler sapere, che l'imparare >. - (pag. 42).

- < Non un minuto ho dubitato che tu sei Buddha, che tu hai raggiunto la meta, la somma meta verso la quale si affaticano tante migliaia di brahmani e di figli di brahmani. Tu hai trovato la liberazione dalla morte. Essa è venuta a te attraverso la ricerca, ti è venuta incontro sulla tua stessa strada, attraverso il pensiero, la concentrazione, la conoscenza, l'illuminazione. Non ti è venuta attraverso la dottrina! E - tale è il mio pensiero, o Sublime - nessuno perverrà mai alla liberazione attraverso una dottrina! A nessuno, o Venerabile, tu potrai mai, con parole, e attraverso una dottrina, comunicare ciò che avviene in te nell'ora della tua illuminazione! Molto contiene la dottrina del Buddha illuminato: a molti essa insegna a vivere rettamente, a evitare il male. Ma una cosa non contiene questa dottrina così limpida, così degna di stima: non contiene il segreto di ciò che il Sublime stesso ha vissuto, egli solo fra centinaia di migliaia. ... Questo è il motivo per cui continuo la mia peregrinazione: non per cercare un'altra o migliore dottrina, poiché lo so, che non ve n'è alcuna, ma per abbandonare tutte le dottrine e tutti i maestri e raggiungere da solo la mia meta o morire >. (pag.53-54).

- Ho visto un uomo, pensava Siddhartha, un uomo unico, davanti al quale ho dovuto abbassare lo sguardo. Davanti a nessun altro voglio mai più abbassare lo sguardo: a nessun altro. Nessuna dottrina mi sedurrà mai più, poiché non m'ha sedotto la dottrina di quest'uomo. 
Il Buddha m'ha derubato, pensava Siddhartha, m'ha derubato, eppure è ben più prezioso ciò che egli mi ha donato. M'ha derubato del mio amico, di colui che credeva in me e che ora crede in lui, che era la mia ombra e che ora è l'ombra di Gotama. Ma mi ha donato Siddhartha, mi ha fatto dono di me stesso. - (pag. 55).

- Quando Siddhartha lasciò il boschetto nel quale rimaneva il Buddha, il Perfetto, e nel quale rimaneva Govinda, allora egli sentì che in quel boschetto restava dietro di lui anche tutta la sua vita passata e da lui si separava. Su questa sensazione, che lo riempiva tutto, egli venne riflettendo mentre s'allontanava a lento passo. Profondamente vi pensò, come attraverso un'acqua profonda si lasciò calare fino al fondo di questa sensazione, fin la dove riposano le acque ultime, poiché conoscere le cause ultime, questo appunto è pensare-così gli pareva-e solo per questa via le sensazioni diventano conoscenze e non vanno perdute, ma al contrario si fanno essenziali e cominciano ad irradiare ciò che in esse è contenuto. - (pag. 57).

- < Basta, cominciare i pensiero e la mia vita con l'Atman o col dolore del mondo! Basta uccidermi e smembrarmi, per scoprire un segreto dietro le rovine! Non sarà più lo Yoga-Veda a istruirmi, né l'Atharva-Veda, né gli asceti , né alcuna dottrina. E' da me che voglio imparare, di me stesso voglio essere il discepolo, voglio conoscermi, svelare quel mistero che ha nome Siddhartha >. - (pag 58).

- < Tu apprendi agevolmente, o Siddhartha; ebbene, impara anche questo: l'amore si può mendicare, comprare, ricevere in dono, si può trovarlo per caso sulla strada, ma non si può estorcere >. - (pag. 73).

- < Vedi, Kamala, se tu getti una pietra nell'acqua, essa si affretta per la via più breve fino al fondo. E così è di Siddhartha, quando ha una meta, un proposito. Siddhartha. Siddharta aspetta, pensa, digiuna, ma passa attraverso le cose del mondo come la pietra attraverso l'acqua, senza far nulla, senza agitarsi: egli viene attratto e si lascia cadere. La sua meta lo tira a sé, poiché nell'anima propria egli non fa penetrar nulla che potrebbe contrastare a tale meta. Questo è ciò che Siddhartha ha imparato dai samana. Questo è ciò che gli stolti chiamano magia, credono che sia opera di demoni. Nulla è opera di demoni, non esistono demoni. Ognuno può compiere una magia, ognuno può raggiungere i propri fini, se sa pensare, se sa aspettare, se sa digiunare >. - (pag. 76)

- Vedeva gli uomini vivere alla maniera di bimbi o di bestie, sì che a un tempo era era costretto ad amarli e a disprezzarli. Li vedeva affannarsi, soffrire e farsi i capelli grigi, per cose che a lui parevano di nessun conto: denaro, piccoli piaceri, piccoli onori, e li vedeva litigarsi e accapigliarsi, li vedeva lamentarsi di dolori sui quali  il samana sorride, e soffrire per privazioni di cui il samana nemmeno si accorge. - (pag. 84).

- L'etera si chinò su di lui e lo contemplò a lungo nel volto, lo fissò negli occhi cerchiati di stanchezza.
< Sei il miglior amante che io abbia  mai visto > disse pensierosa. < Sei più forte degli altri, più flessibile, più alacre. Hai bene appreso l'arte mia, Siddhartha. Un giorno, quando sarò più vecchia, voglio avere un figlio da te. Ma con tutto questo, o caro, tu sei rimasto un samana, con tutto questo tu non mi ami, non ami nessuna creatura umana. Non è così? >.
< Può ben darsi che sia così > disse Siddhartha con stanchezza. < Io sono come te. Anche tu non ami, altrimenti come potresti far dell'amore un'arte? Forse le persone come noi non possono amare. Lo possono gli uomini-bambini: questo è il loro segreto >. - (pag. 86).

- Siddhartha aveva preso qualcosa delle maniere degli uomini-bambini, qualcosa della loro puerilità e della loro timidezza. Eppure li invidiava, li invidiava tanto più quanto più diventava simile a loro. Li invidiava per l'unica cosa che a lui mancava e che essi possedevano, per l'importanza che essi riuscivano ad attribuire alla loro vita, per la passionalità delle loro gioie e delle loro paure, per l'angoscia ma dolce felicità del loro stato di innamorati eterni. Di sé, di donne, dei loro bambini, di onori, di ricchezze, di progetti o di speranze, sempre questi uomini erano innamorati. - (pag. 89).

- Era ancora possibile vivere? Era ancora possibile continuare l'eterna fatica di inspirare ed emettere il respiro, avere fame e sfamarsi, ricominciare a mangiare, a dormire, a giacere con donne? Non era chiuso ed esaurito per lui questo circolo di delle esistenze? - (pag. 97).

- < Ricordati, caro: effimero è il mondo delle forme, effimeri, quanto mai effimeri, sono i nostri abiti, e la foggia dei nostri capelli e corpi. > - (pag. 102)

- Singolare fu in verità la mia vita - pensava - singolari deviazioni a preso. Ragazzo, non ho avuto a che fare se non con déi e sacrifici. Giovane, non ho avuto a che fare se non con ascesi, meditazione e concentrazione, sempre in cerca del Brahman, sempre intento a venerare l'eterno nell'Atman. Ma quando fui un giovanotto mi riunii ai penitenti, vissi nella foresta, sofrfersi il caldo e il gelo, appresi a sopportare la fame, insegnai al mio corpo come morire. Meravigliosa allora mi giunse la rivelazione attraverso la dottrina del grande Buddha. ... Ma anche da Buddha e dalla grande conoscenza mi dovetti staccare. Me ne andai, e appresi da Kamala la gioia dell'amore, appressi da Kamaswami il commercio, accumulai denaro, dissipai denaro, appresi ad amare il mio stomaco, a lusingare i miei sensi. ... Eppure è stata assai buona questa via, e l'usignolo non è ancora morto nel mio petto. Sono dovuto passare attraverso tanta sciocchezza, tanto vizio, tanto errore, tanto disgusto e delusione e dolore, solo per ridiventare bambino e ricominciare da capo. ... Ho dovuto provare la disperazione, ho dovuto abbassarmi fino al più stolto di tutti i pensieri, al pensiero del suicidio, per poter rivivere la grazia, per riapprendere l'Om, per poter di nuovo dormire tranquillo e risvegliarmi sereno. ... Ho dovuto peccare per poter rivivere. - (pag. 104).

- < Ti ringrazio, > disse Siddhartha < Ti ringrazio e accetto. E ti ringrazio anche di avermi ascoltato così bene! Sono rari gli uomini che sanno ascoltare, e non ne ho mai incontrato uno che fosse così bravo come sei tu. Anche in questo avrò da imparare da te >. - (pag.112).

- Spesso sedevano insieme di sera su un tronco presso la riva, tacevano e ascoltavano tutti e due l'acqua, che per loro non era acqua, ma la voce della vita, la voce di ciò che è ed eternamente diviene. - (pag. 115).

- Un giorno che la vista del ragazzo gli ricordò intensamente Kamala, Siddhartha dovette rammentarsi all'improvviso d'una frase che Kamala gli aveva detto un tempo, nei giorni lontani della giovinezza. < Tu non sai amare > gli aveva detto, ed egli le aveva dato ragione e aveva paragonato se stesso a un astro e gli uomini-bambini a foglie cadenti, e ciò nonostante aveva percepito in quelle parole anche un suono di rimprovero. In effetti egli non era mai riuscito a perdersi e a consacrarsi interamente in un'altra creatura, a dimenticarsi di sé e commettere pazzie d'amore per qualcuno; mai era riuscito a fare qualcosa di simile, e questa era stata - così gli era parso allora - la gran differenza tra lui e gli uomini-bambini. Ma ora, dacché suo figlio era con lui, ora anche lui, Siddhartha, era diventato in pieno un uomo-bambino, e soffriva a causa d'una creatura umana, amava una creatura, si perdeva per amore, per amore diventava un povero stolto. Anch'egli sentì ora finalmente, per una volta nella vita, questa fortissima e singolarissima tra le passioni, ne sofferse, sofferse lamentosamente, eppure si sentiva come inebriato, rinnovato ed arricchito da qualche cosa. - (pag. 125).

- Diversamente che un tempo considerava ora gli uomini, con minore orgoglio, con minore intelligenza, e perciò con tanto maggior calore, curiosità, interesse. - (pag. 131).

- ...gli uomini attaccati al mondo erano erano pari ai saggi, anzi, spesso, erano loro di gran lunga superiori, così come anche le bestie, in molti casi, con i loro atti tenaci, imperterriti e guidati dalla necessità, possono sembrare superiori agli uomini.
Lentamente fioriva, lentamente maturava in Siddhartha il riconoscimento, la consapevolezza di che cosa fosse davvero la saggezza, quale la meta del suo lungo cercare. Non era nient'altro che una disposizione dell'anima, una capacità un'arte segreta di saper pensare in qualunque istante, nel pieno della vita, il pensiero dell'unità, di saper sentire e respirare l'unità. - (pag. 132).

- E tutto insieme, tutte le voci, tutte le mete, tutti i desideri, tutti i dolori, tutta la gioia, tutto il bene e il male, tutto insieme era il mondo. Tutto insieme era il fiume del divenire, era la musica della vita. ... In quell'ora Siddhartha cessò di lottare contro il destino, in quell'ora cessò di soffrire. Sul suo volto fioriva la serenità del sapere, cui più non contrasta alcuna volontà, il sapere che conosce la perfezione, che è in accordo con il fiume del divenire, con la corrente della vita, un sapere che è pieno di compassione e di simpatia, docile al flusso degli eventi, aderente all'Unità. - (pag. 136).

- Siddhartha si chinò, alzò una pietra da terra e la soppesò sulla mano.
< Questa > disse giocherellando <è una pietra,e forse, entro un determinato tempo, sarà terra, e di terra diventerà pianta, o bestia, o uomo. Bene, un tempo io avrei detto: "Questa pietra è soltanto una pietra ... Ma oggi invece penso: questa pietra è pietra, ed è anche animale, è anche dio, è anche Buddha, io l'amo e la onoro non perché un giorno o l'altro potrebbe diventare questo o quello, ma perché essa è, ed è sempre stata tutto; e appunto questo fatto, che sia pietra, che ora mi appaia come pietra, proprio questo fa sì che io l'ami, e veda un senso e un valore in ognuna delle sue venature e cavità. > - (pag. 143).