martedì 28 maggio 2013

Hermann Hesse, Siddhartha




Hermann Hesse, Siddhartha, Adelphi, 1973 (Rist. 2012)



Il succo:

- E un giorno passarono i samana attraverso la città di Siddhartha: asceti girovaghi, tre uomini secchi e spenti, né vecchi né giovani, con spalle impolverate e sanguinose, seminudi, arsi dal sole, circondati di solitudine, estranei e ostili al mondo, forestieri nel regno degli uomini come macilenti sciacalli. Spirava da loro un'aura di cheta passione, di devozione fino all'annientamento, di spietata rinuncia alla personalità. - (pag. 33).

- Vedeva i mercanti commerciare, i principi andare a caccia, la gente in lutto piangere i suoi morti, le meretrici far copia di sé, i medici affannarsi per i loro ammalati, i sacerdoti stabilire il giorno per la semina, gli amanti amare, le madri allattare i loro bimbi - e tutto ciò non era degno dello sguardo dei suoi occhi, tutto mentiva, tutto puzzava, puzzava di menzogna, tutto simulava significato e felicità e bellezza, e tutto era inconfessata putrefazione. Amaro era il sapore del mondo. La vita, tormento.
Una meta, una sola, si proponeva Siddhartha: diventare vuoto, vuoto di sete, vuoto di desideri, vuoto di sogni, vuoto di gioia e di dolore. - (pag 37).

- Disse Siddhartha: < Ciò che ho imparato fin ora presso i samana, o Govinda, avrei potuto impararlo più presto e più semplicemente. In qualunque bettola di malaffare, amico mio, tra carrettieri e giocatori di dadi, l'avrei potuto imparare >. ... < Che cos'è la concentrazione? Che cosa l'abbandono del corpo? Che cos'è il digiuno? Che cosa la sospensione del respiro? Tutto questo è fuga dall'Io, breve pausa nel tormento d'essere Io, è un effimero stordirsi contro il dolore insensato della vita. La stessa evasione, lo stesso effimero stordimento prova il bovaro all'osteria, quando si tracanna alcuni bicchieri d'acquavite o di latte di cocco fermentato. Allora costui non sente più il proprio Sé, allora non sente più le pene della vita, allora prova un effimero stordimento >. - (pag. 40).

- < Nella realtà non esiste, io credo, quella cosa che chiamiamo "imparare". C'è soltanto, o amico, un sapere, che è ovunque, che è Atman, che è in me e in te e in ogni essere. E così comincio a credere: questo sapere non ha nessun peggior nemico che il voler sapere, che l'imparare >. - (pag. 42).

- < Non un minuto ho dubitato che tu sei Buddha, che tu hai raggiunto la meta, la somma meta verso la quale si affaticano tante migliaia di brahmani e di figli di brahmani. Tu hai trovato la liberazione dalla morte. Essa è venuta a te attraverso la ricerca, ti è venuta incontro sulla tua stessa strada, attraverso il pensiero, la concentrazione, la conoscenza, l'illuminazione. Non ti è venuta attraverso la dottrina! E - tale è il mio pensiero, o Sublime - nessuno perverrà mai alla liberazione attraverso una dottrina! A nessuno, o Venerabile, tu potrai mai, con parole, e attraverso una dottrina, comunicare ciò che avviene in te nell'ora della tua illuminazione! Molto contiene la dottrina del Buddha illuminato: a molti essa insegna a vivere rettamente, a evitare il male. Ma una cosa non contiene questa dottrina così limpida, così degna di stima: non contiene il segreto di ciò che il Sublime stesso ha vissuto, egli solo fra centinaia di migliaia. ... Questo è il motivo per cui continuo la mia peregrinazione: non per cercare un'altra o migliore dottrina, poiché lo so, che non ve n'è alcuna, ma per abbandonare tutte le dottrine e tutti i maestri e raggiungere da solo la mia meta o morire >. (pag.53-54).

- Ho visto un uomo, pensava Siddhartha, un uomo unico, davanti al quale ho dovuto abbassare lo sguardo. Davanti a nessun altro voglio mai più abbassare lo sguardo: a nessun altro. Nessuna dottrina mi sedurrà mai più, poiché non m'ha sedotto la dottrina di quest'uomo. 
Il Buddha m'ha derubato, pensava Siddhartha, m'ha derubato, eppure è ben più prezioso ciò che egli mi ha donato. M'ha derubato del mio amico, di colui che credeva in me e che ora crede in lui, che era la mia ombra e che ora è l'ombra di Gotama. Ma mi ha donato Siddhartha, mi ha fatto dono di me stesso. - (pag. 55).

- Quando Siddhartha lasciò il boschetto nel quale rimaneva il Buddha, il Perfetto, e nel quale rimaneva Govinda, allora egli sentì che in quel boschetto restava dietro di lui anche tutta la sua vita passata e da lui si separava. Su questa sensazione, che lo riempiva tutto, egli venne riflettendo mentre s'allontanava a lento passo. Profondamente vi pensò, come attraverso un'acqua profonda si lasciò calare fino al fondo di questa sensazione, fin la dove riposano le acque ultime, poiché conoscere le cause ultime, questo appunto è pensare-così gli pareva-e solo per questa via le sensazioni diventano conoscenze e non vanno perdute, ma al contrario si fanno essenziali e cominciano ad irradiare ciò che in esse è contenuto. - (pag. 57).

- < Basta, cominciare i pensiero e la mia vita con l'Atman o col dolore del mondo! Basta uccidermi e smembrarmi, per scoprire un segreto dietro le rovine! Non sarà più lo Yoga-Veda a istruirmi, né l'Atharva-Veda, né gli asceti , né alcuna dottrina. E' da me che voglio imparare, di me stesso voglio essere il discepolo, voglio conoscermi, svelare quel mistero che ha nome Siddhartha >. - (pag 58).

- < Tu apprendi agevolmente, o Siddhartha; ebbene, impara anche questo: l'amore si può mendicare, comprare, ricevere in dono, si può trovarlo per caso sulla strada, ma non si può estorcere >. - (pag. 73).

- < Vedi, Kamala, se tu getti una pietra nell'acqua, essa si affretta per la via più breve fino al fondo. E così è di Siddhartha, quando ha una meta, un proposito. Siddhartha. Siddharta aspetta, pensa, digiuna, ma passa attraverso le cose del mondo come la pietra attraverso l'acqua, senza far nulla, senza agitarsi: egli viene attratto e si lascia cadere. La sua meta lo tira a sé, poiché nell'anima propria egli non fa penetrar nulla che potrebbe contrastare a tale meta. Questo è ciò che Siddhartha ha imparato dai samana. Questo è ciò che gli stolti chiamano magia, credono che sia opera di demoni. Nulla è opera di demoni, non esistono demoni. Ognuno può compiere una magia, ognuno può raggiungere i propri fini, se sa pensare, se sa aspettare, se sa digiunare >. - (pag. 76)

- Vedeva gli uomini vivere alla maniera di bimbi o di bestie, sì che a un tempo era era costretto ad amarli e a disprezzarli. Li vedeva affannarsi, soffrire e farsi i capelli grigi, per cose che a lui parevano di nessun conto: denaro, piccoli piaceri, piccoli onori, e li vedeva litigarsi e accapigliarsi, li vedeva lamentarsi di dolori sui quali  il samana sorride, e soffrire per privazioni di cui il samana nemmeno si accorge. - (pag. 84).

- L'etera si chinò su di lui e lo contemplò a lungo nel volto, lo fissò negli occhi cerchiati di stanchezza.
< Sei il miglior amante che io abbia  mai visto > disse pensierosa. < Sei più forte degli altri, più flessibile, più alacre. Hai bene appreso l'arte mia, Siddhartha. Un giorno, quando sarò più vecchia, voglio avere un figlio da te. Ma con tutto questo, o caro, tu sei rimasto un samana, con tutto questo tu non mi ami, non ami nessuna creatura umana. Non è così? >.
< Può ben darsi che sia così > disse Siddhartha con stanchezza. < Io sono come te. Anche tu non ami, altrimenti come potresti far dell'amore un'arte? Forse le persone come noi non possono amare. Lo possono gli uomini-bambini: questo è il loro segreto >. - (pag. 86).

- Siddhartha aveva preso qualcosa delle maniere degli uomini-bambini, qualcosa della loro puerilità e della loro timidezza. Eppure li invidiava, li invidiava tanto più quanto più diventava simile a loro. Li invidiava per l'unica cosa che a lui mancava e che essi possedevano, per l'importanza che essi riuscivano ad attribuire alla loro vita, per la passionalità delle loro gioie e delle loro paure, per l'angoscia ma dolce felicità del loro stato di innamorati eterni. Di sé, di donne, dei loro bambini, di onori, di ricchezze, di progetti o di speranze, sempre questi uomini erano innamorati. - (pag. 89).

- Era ancora possibile vivere? Era ancora possibile continuare l'eterna fatica di inspirare ed emettere il respiro, avere fame e sfamarsi, ricominciare a mangiare, a dormire, a giacere con donne? Non era chiuso ed esaurito per lui questo circolo di delle esistenze? - (pag. 97).

- < Ricordati, caro: effimero è il mondo delle forme, effimeri, quanto mai effimeri, sono i nostri abiti, e la foggia dei nostri capelli e corpi. > - (pag. 102)

- Singolare fu in verità la mia vita - pensava - singolari deviazioni a preso. Ragazzo, non ho avuto a che fare se non con déi e sacrifici. Giovane, non ho avuto a che fare se non con ascesi, meditazione e concentrazione, sempre in cerca del Brahman, sempre intento a venerare l'eterno nell'Atman. Ma quando fui un giovanotto mi riunii ai penitenti, vissi nella foresta, sofrfersi il caldo e il gelo, appresi a sopportare la fame, insegnai al mio corpo come morire. Meravigliosa allora mi giunse la rivelazione attraverso la dottrina del grande Buddha. ... Ma anche da Buddha e dalla grande conoscenza mi dovetti staccare. Me ne andai, e appresi da Kamala la gioia dell'amore, appressi da Kamaswami il commercio, accumulai denaro, dissipai denaro, appresi ad amare il mio stomaco, a lusingare i miei sensi. ... Eppure è stata assai buona questa via, e l'usignolo non è ancora morto nel mio petto. Sono dovuto passare attraverso tanta sciocchezza, tanto vizio, tanto errore, tanto disgusto e delusione e dolore, solo per ridiventare bambino e ricominciare da capo. ... Ho dovuto provare la disperazione, ho dovuto abbassarmi fino al più stolto di tutti i pensieri, al pensiero del suicidio, per poter rivivere la grazia, per riapprendere l'Om, per poter di nuovo dormire tranquillo e risvegliarmi sereno. ... Ho dovuto peccare per poter rivivere. - (pag. 104).

- < Ti ringrazio, > disse Siddhartha < Ti ringrazio e accetto. E ti ringrazio anche di avermi ascoltato così bene! Sono rari gli uomini che sanno ascoltare, e non ne ho mai incontrato uno che fosse così bravo come sei tu. Anche in questo avrò da imparare da te >. - (pag.112).

- Spesso sedevano insieme di sera su un tronco presso la riva, tacevano e ascoltavano tutti e due l'acqua, che per loro non era acqua, ma la voce della vita, la voce di ciò che è ed eternamente diviene. - (pag. 115).

- Un giorno che la vista del ragazzo gli ricordò intensamente Kamala, Siddhartha dovette rammentarsi all'improvviso d'una frase che Kamala gli aveva detto un tempo, nei giorni lontani della giovinezza. < Tu non sai amare > gli aveva detto, ed egli le aveva dato ragione e aveva paragonato se stesso a un astro e gli uomini-bambini a foglie cadenti, e ciò nonostante aveva percepito in quelle parole anche un suono di rimprovero. In effetti egli non era mai riuscito a perdersi e a consacrarsi interamente in un'altra creatura, a dimenticarsi di sé e commettere pazzie d'amore per qualcuno; mai era riuscito a fare qualcosa di simile, e questa era stata - così gli era parso allora - la gran differenza tra lui e gli uomini-bambini. Ma ora, dacché suo figlio era con lui, ora anche lui, Siddhartha, era diventato in pieno un uomo-bambino, e soffriva a causa d'una creatura umana, amava una creatura, si perdeva per amore, per amore diventava un povero stolto. Anch'egli sentì ora finalmente, per una volta nella vita, questa fortissima e singolarissima tra le passioni, ne sofferse, sofferse lamentosamente, eppure si sentiva come inebriato, rinnovato ed arricchito da qualche cosa. - (pag. 125).

- Diversamente che un tempo considerava ora gli uomini, con minore orgoglio, con minore intelligenza, e perciò con tanto maggior calore, curiosità, interesse. - (pag. 131).

- ...gli uomini attaccati al mondo erano erano pari ai saggi, anzi, spesso, erano loro di gran lunga superiori, così come anche le bestie, in molti casi, con i loro atti tenaci, imperterriti e guidati dalla necessità, possono sembrare superiori agli uomini.
Lentamente fioriva, lentamente maturava in Siddhartha il riconoscimento, la consapevolezza di che cosa fosse davvero la saggezza, quale la meta del suo lungo cercare. Non era nient'altro che una disposizione dell'anima, una capacità un'arte segreta di saper pensare in qualunque istante, nel pieno della vita, il pensiero dell'unità, di saper sentire e respirare l'unità. - (pag. 132).

- E tutto insieme, tutte le voci, tutte le mete, tutti i desideri, tutti i dolori, tutta la gioia, tutto il bene e il male, tutto insieme era il mondo. Tutto insieme era il fiume del divenire, era la musica della vita. ... In quell'ora Siddhartha cessò di lottare contro il destino, in quell'ora cessò di soffrire. Sul suo volto fioriva la serenità del sapere, cui più non contrasta alcuna volontà, il sapere che conosce la perfezione, che è in accordo con il fiume del divenire, con la corrente della vita, un sapere che è pieno di compassione e di simpatia, docile al flusso degli eventi, aderente all'Unità. - (pag. 136).

- Siddhartha si chinò, alzò una pietra da terra e la soppesò sulla mano.
< Questa > disse giocherellando <è una pietra,e forse, entro un determinato tempo, sarà terra, e di terra diventerà pianta, o bestia, o uomo. Bene, un tempo io avrei detto: "Questa pietra è soltanto una pietra ... Ma oggi invece penso: questa pietra è pietra, ed è anche animale, è anche dio, è anche Buddha, io l'amo e la onoro non perché un giorno o l'altro potrebbe diventare questo o quello, ma perché essa è, ed è sempre stata tutto; e appunto questo fatto, che sia pietra, che ora mi appaia come pietra, proprio questo fa sì che io l'ami, e veda un senso e un valore in ognuna delle sue venature e cavità. > - (pag. 143).

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