domenica 13 ottobre 2013

Paul Auster, Follie di Brooklyn




Paul Auster, Follie di Brooklyn, Einaudi, 2005


Il succo:

- Non avevo idea di chi fossero i miei vicini e non me ne importava. Lavoravano tutti dalle nove alle cinque e nessuno aveva bambini, quindi il palazzo era relativamente silenzioso. E io, questo desideravo più di ogni altra cosa. Una fine silenziosa per la mia vita triste e ridicola. - (pag. 3).

- Le spiegai che probabilmente entro l'anno sarei morto, e non me ne fregava un cazzo di fare progetti. - (pag. 4).

- Sì... temo di essere un po' cattivo, a volte. Ma non sempre - e non per principio. - (pag. 4).

- ... tutti sappiamo quanti rischi si nascondono dietro le porte chiuse della vita familiare. Questa può essere un veleno per coloro che vi sono coinvolti, specialmente quando scopri che in partenza non eri tagliato per sposarti. - (pag. 4).

- ... finalmente mi venne un'idea che Rachel avrebbe approvato. Forse non era un'idea geniale, ma era qualcosa, e se l'avessi perseguita con fede e rigore come intendevo fare avrei avuto il mio progetto, il passatempo che cercavo per evadere dall'accidia della mia soporifera routine. E malgrado la protesta del progetto decisi di dargli un nome solenne, anzi alquanto pomposo - per illudermi di aver intrapreso un'opera importante. Lo intitolai il libro della follia umana, e pensavo di riportare in esso, con il linguaggio più semplice e chiaro possibile, il racconto di tutti gli svarioni e i capitomboli, i pasticci e i pastrocchi, le topiche e le goffaggini in cui ero caduto nella mia lunga e movimentata carriera di uomo. - (pag. 6/7).

- Leggere per me era evasione e conforto, era la mia consolazione, il mio stimolante preferito: leggere per il puro gusto della lettura, per il meraviglioso silenzio che ti circonda quando ascolti le parole di un autore riverberate dentro la tua testa. - (pag. 13).

- ... Poe e Thoreau... Un alcolizzato del Sud... reazionario in politica, con atteggiamenti aristocratici e una fantasia spettrale. E un astemio del Nord... di idee rivoluzionarie, puritano nella condotta e chiaroveggente nella sua opera. Poe era artificio, e il buio di una mezzanotte al chiuso. Thoreau era semplicità, e la radiosità della vita all'aperto. Ma con tutte le loro differenze, nacquero ad appena otto anni di distanza, ... E morirono giovani: l'uno a quaranta, l'altro a quarantacinque anni. ... né l'uno né l'altro lasciarono figli.
... Ciascuno a modo suo, e in un modo follemente idiosincratico, si assunsero il compito di reinventare l'America. ... Poe si batteva a favore di una nuova letteratura autoctona, una lettura americana libera dagli influssi inglesi ed europei. L'opera di Thoreau rappresenta un'attacco ininterrotto allo stato delle cose, una battaglia per trovare una via nuova per vivere qui. Entrambi credevano nell'America, ed entrambi credevano che l'America fosse precipitata all'inferno, che fosse sempre più stritolata dalla crescita di una montagna di macchine e di soldi. Come poteva, un uomo, pensare in mezzo a tutto quel clamore? Entrambi volevano venirne fuori. Thoreau si eclissò nei dintorni di Concord fingendo un esilio volontario nei boschi ... Dal canto suo Poe si ritrasse in un sogno di perfezione. ... Perché il fatto è che l'America era davvero precipitata all'inferno. Era un paese spaccato in due, e tutti sappiamo che cosa accadde solo un decennio più tardi. Quatro anni di distruzione e morte. Un bagno di sangue umano determinato proprio da quelle macchine che avrebbero dovuto rendere tutti ricchi e felici. - (pag. 15-16).

- Quando attraversi Times Square alle tre e mezza del mattino e tutto il traffico è sparito, d'un tratto sei solo al centro del mondo, con il neon che ti rovescia addosso da ogni angolo del cielo. O spingi il tachimetro oltre i centodieci sulla Belt Parkway poco prima dell'alba e senti il profumo dell'oceano inondarti dal finestrino aperto. O sei sul ponte di Brooklyn nel preciso istante in cui la luna piena sale dentro l'arcata, ed è tutto quello che vedi, la rotondità gialla e brillante della luna, così grande da farti paura, e dimentichi di vivere quaggiù sulla terra, e pensi di volare, che il taxi abbia le ali e stia davvero volando nello spazio. Nessun libro può ricreare queste sensazioni. - (pag. 27-28).

- Non è cosa da poco dover ricominciare la propria vita a cinquantasette anni; e quando un uomo non dispone di altre carte che il cervello che ha in testa e la lingua che ha nella bocca, deve pensarci bene prima di decidersi ad aprire quella bocca e parlare. - (pag. 31).

- "Tu credi che io scherzi", ribattei, "ma invece sto parlando sul serio. Ti elargisco le perle della mia saggezza. Qualche consiglio dopo una vita passata a sgobbare nelle trincee dell'esperienza. Truffatori e imbroglioni dominano il mondo. I furfanti imperversano. E sai perché?"
"Dimmelo, Maestro. Son tutto orecchi."
"Perché hanno più fame di noi. Perché sanno cosa vogliono. Perché credono nella vita più di noi." ...
"Io invece sto parlando di istinto di sopravvivenza, Tom... della volontà di vivere. Preferisco mille volte un furfante astuto ad un pio allocco. Forse il primo non rispetterà le regole del gioco, ma ha lo spirito. E quando trovi un uomo dotato di spirito c'è sempre speranza per il mondo." - (pag. 47-48).

- Quando hai vissuto a lungo come me tendi a pensare di aver ascoltato di tutto, di non poterti più stupire di nulla. Ti viene pure voglia di vantarti della tua esperienza del mondo e poi, ogni tanto, ti ritrovi di fronte a qualcosa che ti catapulta fuori dal bozzolo di goduta superiorità, ricordandoti da capo della vita non capisci un bel niente. - (pag. 61).

- Non ero mai stato in un albergo, ma quando andavo in centro con mia madre ne vedevo abbastanza da sapere che erano posti speciali, fortezze che ti proteggevano dallo squallore e dalla meschinità della vita quotidiana. Adoravo quegli uomini in livrea blu ritti davanti al Remington Arms. Adoravo i riflessi delle finiture d'ottone sulla porta girevole dell'Excelsior. Adoravo l'enorme lampadario appeso all'atrio del Ritz. L'unico scopo di un'albergo era renderti felice rilassato, e una volta che avevi firmato il registro ed eri salito in camera non dovevi fare altro che chiedere qualcosa e l'avresti avuta. L'hotel rappresentava la promessa di un mondo migliore, un luogo che era più di un semplice luogo, era un'opportunità, era un'occasione per vivere dentro ai tuoi sogni. - (pag. 88).

- Ogni uomo ha in sé diversi uomini, e la maggior parte di noi rimbalza da un'identità all'altra senza nemmeno sapere chi è. Un giorno su e un altro giù: imbronciati e taciturni al mattino, ridanciani e pronti alla battuta la sera. - (pag. 107).

- ...il bello di Kafka è che non lo perdi più. Quando ti sei tuffato nella sua opera non la dimentichi. ... Kafka non era solo un grande scrittore, era anche un uomo eccezionale. ...
... Mai sentita la storia della bambola? ...
... Tutti i pomeriggi Kafka va a fare una passeggiata nel parco. Generalmente lo accompagna Dora. Un giorno incontra una bambina in lacrime, che singhiozza da farsi scoppiare il petto. Kafka le chiede che cosa c'è che non va e la bambina risponde che ha perso la sua bambola. Lui subito comincia ad inventare una storia per spiegarle l'accaduto. "La tua bambola è andata a fare un giro", le dice. Lei gli chiede: "E tu come lo sai?" "Perché mi ha scritto una lettera", le risponde Kafka. La bambina sembra sospettosa. "Ce l'hai qui?" gli domanda. "No, mi spiace, -fa lui. - "L'ho lasciata a casa per sbaglio, ma domani la porterò con me". E' così convincente che la bambina non sa più cosa pensare. Possibile che quell'uomo misterioso stia dicendo la verità?
Kafka torna subito a casa per scrivere la lettera. Si siede a tavolino e Dora, osservandolo mentre scrive, nota la stessa serietà che mostra quando sta componendo la sua opera. Non vuole prendere in giro la bambina. Questa è una vera fatica letteraria, e lui è deciso a compierla nel migliore dei modi. Se riuscirà a presentare alla bambina una una bugia bellissima, e convincente, sostituirà la bambola perduta con una realtà diversa: falsa, forse, ma veritiera e credibile secondo le leggi della narrativa.
L'indomani Kafka si precipita al parco con la lettera. La bambina lo sta aspettando, e dato che non ha ancora imparato a leggere gliela legge lui ad alta voce. La bambola è molto spiacente, ma si è stancata di vivere sempre con le stesse persone. Ha bisogno di muoversi e vedere il mondo, di fare nuove amicizie. Non è che non voglia bene alla bambina, però desidera cambiare aria, perciò dovranno separarsi per qualche tempo. Infine la bambola promette che scriverà alla bambina ogni giorno e la terrà al corrente di quello che sta facendo.
E' da qui che la storia comincia a farmi venir voglia di piangere. Già è incredibile che Kafka si sia preso il disturbo di scrivere quella prima lettera, ma ora si dedica al progetto di scriverne una una nuova ogni giorno... al solo scopo di consolare la bambina, che fra l'altro per lui è una perfetta estranea, un esserino incontrato per caso un pomeriggio in un parco. Che tipo di uomo fa una cosa simile? E, Nathan... è andato avanti per tre settimane. Tre settimane. Uno degli scrittori più geniali che siano mai vissuti ha sacrificato il suo tempo... un tempo sempre più scarso e prezioso... per comporre le lettere immaginarie di una bambola smarrita. Secondo la testimonianza di Dora scriveva ogni frase con una cura maniacale del dettaglio, e la sua prosa era precisa, spiritosa e avvincente. In parole povere, era la prosa di Kafka, e lui per tre settimane andò tutti i giorni al parco e scrisse ogni volta una nuova lettera alla bambina. La bambola diventa grande, va a scuola, conosce altre persone. Continua a ripetere alla bambina che le vuole bene, ma allude a certe complicazioni che le rendono impossibile il ritorno. A poco a poco Kafka prepara la bambina per il momento in cui la bambola sparirà dalla sua vita per sempre. Si spreme per creare un finale soddisfacente temendo che se non lo troverà si possa rompere l'incantesimo. Dopo aver vagliato alcune ipotesi, alla fine decise di far sposare la bambola. Descrive il giovanotto di cui lei si innamora, la festa di fidanzamento, le nozze in campagna, perfino la casa dove ora abitano la bambola e suo marito. E poi, nell'ultima riga, la bambola dice addio alla sua vecchia e affezionata amica.
Ma a questo punto naturalmente la bambina non sente più la mancanza della bambola. Kafka le ha dato in cambio qualcos'altro, e alla fine delle tre settimane le lettere l'hanno guarita dal suo cruccio. Lei ha la storia, e quando una persona è abbastanza fortunata da vivere all'interno di una storia, da vivere in un mondo immaginario, i dolori di questo mondo svaniscono. Perché fino a quando la storia continua, la realtà non esiste più. - (pag. 133, 134, 135).

-  Desidero parlare della felicità e del benessere, di quei momenti rari e inaspettati in cui la voce dentro la tua testa tace e ti senti tutt'uno con il mondo.
Desidero parlare del clima ai primi di giugno, di armonia e benefico riposo, dei pettirossi e dei fringuelli gialli e degli uccelli azzurri che guizzano oltre le foglie verdi degli alberi.
Desidero parlare dei vantaggi del sonno, dei piaceri del cibo e dell'alcool, di quello che succede alla tua mente quando esci nella luce solare delle due del pomeriggio e senti il caldo abbraccio dell aria attorno al corpo.
Desidero parlare di Tom e Lucy, di Stanley Chowder e dei quattro giorni che passammo a Chowder Inn, dei pensieri pensati e dei sogni sognati in cima a quell'altura, del Vermont meridionale.
Desidero ricordare i crepuscoli cerulei, le languide albe rosa, gli orsi che di notte uggiolavano nel bosco.
Desidero ricordare tutto. Se tutto è chiedere troppo, almeno una parte. No, di più. Quasi tutto. Quasi tutto, con qualche spazio vuoto riservato ai pezzi mancanti. - (pag. 145).

- Ho iniziato da poco una vita da solo a e sono più che soddisfatto della mia decisione di stabilirmi a Brooklyn. Dopo tutti quegli anni nei sobborghi trovo che la città mi sia consona, e mi sono già affezionato al mio quartiere, con il suo mutevole calderone di bianchi e mori e neri, il suo coro a più strati di accenti esotici, i suoi bambini e i suoi alberi, le sue famiglie piccolo-borghesi che faticano, le coppie lesbiche, i negozi di alimentari coreani, il santone indiano barbuto in tunica bianca che si inchina ogni volta che ci incontriamo per la strada, i nani e gli storpi, i vecchi pensionati che arrancano a passettini sul marciapiede, le campane delle chiese e i diecimila cani, la popolazione sotterranea dei rovistarifiuti senzacasa solitari che spingono i carrelli del supermercato lungo i viali e cercano bottiglie nella spazzatura. - (pag. 157).

-  I vecchi amori ti restano dentro, è dura mandarli via. - (pag. 203).

- Prova a seguire la corrente. Tieni alta la guardia. Non lasciarti infinocchiare. Vota democratico a tutte le elezioni. Pedala nel parco. Sogna il mio corpo perfetto e dorato. Prendi le tue vitamine. Bevi otto bicchieri di acqua al giorno. Fai il tifo per i Mets. Guarda un sacco di Film. Non lavorare troppo. Vieni con me a fare un viaggio a Parigi. Accompagnami all'ospedale quando Rachel avrà il bambino, e prendi in braccio mio nipote. Lavati i denti dopo ogni pasto. Non attraversare con il rosso. Difendi i piccoli. Non farti mettere la testa sotto i piedi. Ricorda quanto sei bella. Ricorda quanto ti amo. Bevi uno scotch con ghiaccio tutti i giorni. Respira a fondo. Tieni gli occhi aperti. Stai lontana dai cibi troppo grassi. Dormi il sonno dei giusti. Ricorda quanto ti amo. - (pag. 255).

- Io non ero nessuno. Rodney Grant non era nessuno. Omar Hassim-Alì non era nessuno. Javier Rodriguez - il falegname in pensione di settantotto anni che occupò il letto a partire dalle quattro - non era nessuno. Alla fine tutti saremo morti, e quando i nostri corpi fossero stati portati via e sepolti sottoterra solo i nostri parenti e nostri amici avrebbero saputo che ce n'eravamo andati. Le nostre morti non sarebbero state annunciate alla radio e alla televisione. Non avremmo avuto "coccodrilli" sul "New York Times". Nessun libro sarebbe stato scritto su di noi. Questo è un onore riservato agli individui celebri e potenti, a chi e dotato di qualità eccezionali, ma chi si degnerebbe di pubblicare le biografie della gente comune, senza fama, di tutti i giorni, che incontriamo per strada e non ci diamo neanche la pena di notare?
La maggior parte delle vite svanisce. Una persona muore, e apoco a poco tutte le tracce di quella vita spariscono. Un inventore sopravvive nelle sue invenzioni, un architetto nei suoi edifici, ma la maggior parte della gente non si lascia alle spalle monumenti o prodotti duraturi: uno scaffale di album di fotografie, una pagella della quinta elementare, una coppa vinta a Bowling, un posacenere sgraffignato da una stanza d'albergo della florida l'ultima mattina di una vacanza di cui si ha un vago ricordo. Qualche oggetto, qualche documento, e una spolverata di impressioni sugli altri. Altri che raccontano sempre qualche storia sul morto, ma perlopiù le date sono incerte, i fatti vengono omessi, la verità è sempre più distorta; e quando a loro volta quelle persone muoiono, quasi tutte le storie spariscono con loro. - (pag. 262).

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