martedì 10 settembre 2013

Jean-Pierre Vernant, La morte eroica nell'antica Grecia



Jean-Pierre Vernant, La morte eroica nell'antica Grecia, il melangolo, 2007

Il succo:


- Achille è, così, l'immagine stessa del guerriero e delle virtù: non solo il coraggio, ma anche quella forma di morale aristocratica che fa da sfondo alla morte eroica, e in cui un uomo è kalòs kagatòs, "bello-buono"... - (pag. 6).

- Achille ha dovuto sceglier tra due vite. O una vita tranquilla e dolce, una vita lunga con una donna, e i figli, e il padre, e poi la morte al termine del cammino, nel suo letto, come accade a tante persone anziane: sparire in una specie di mondo oscuro, tra volti vestiti di notte in cui nessuno ha nome né individualità, nell Ade, diventare ombra inconsistente, e poi più niente, e nessuno. O, al contrario, quella che i Greci chiamano vita breve e bella morte, kalos thànatos. Non c'è bella morte senza vita breve. - (pag. 7-8).

- Come c'è un onore eroico che non è l'onore ordinario, c'è una morte eroica in battaglia che non è una morte ordinaria. Perché? Perché il giovane uomo nel fiore degli anni e della bellezza che cada in battaglia non vedrà sul suo corpo gli avvizzimenti, il rammollimento che l'età reca ai mortali. E' la legge del genere umano: si nasce, si cresce, si diventa efebo, giovane uomo, uomo "fatto", e poi, poco a poco, contrariamente a quanto accade agli dèi, ci si indebolisce, deteriora, degrada, si diventa un vecchio stanco che sragiona e che presto morirà; ed è come se non avesse vissuto. Ma se uno muore al momento di dimostrare chi è nel fiore della sua giovinezza, la sua esistenza sfuggirà all'usura del tempo, alla mortalità ordinaria. - (pag 11-12).

- La morte eroica procura non solo un onore incomparabile ma realizza il paradosso di una creatura umana mortale, effimera, votata al ciclo - il passaggio attraverso differenti tappe fino alla misera morte - che caratterizza l'uomo e lo oppone agli dèi. - (pag. 15).

- Come arrivare a compiere un'impresa che mi distingue dai comuni mortali? Non come un dio, ma come se lo splendore divino si fosse posato su di me, un mortale, quasi la bellezza di Afrodite su una bella fanciulla, e d'un tratto l'umana vita fosse rischiarata, divenisse altra anche grazie all'eroismo di alcuni guerrieri.
Ecco, almeno credo, uno dei sensi della morte eroica, e questo ci invita a comprendere che in questo sforzo all'interno della concezione greca dell'uomo - una concezione molto terra terra -, la vita, la felicità della vita, il coraggio, la forza, l'impetuosità, la giovinezza, il piacere amoroso sono i veri valori che contano. Ma tutto ciò si sfilaccia, non è niente. Come posso allora trovare il modo per attingere almeno un poco di quella stabilità dell'esistenza che attribuisco agli dèi? Questa stabilità consiste nel fatto che il mio nome, la mia esistenza singolare, quel che ho fatto, quel che sono stato, resteranno inscritti per sempre nella memoria degli uomini in due modi. Il primo luogo i poeti nei loro canti celebreranno quello che i Greci chiamano kléos àphithion, una gloria cantata, imperitura; senza fine Achille sarà cantato di generazione in generazione. Quindi, la memoria funebre: una tomba sarà costruita con una stele su cui il nome di Achille e poche parole, talvolta un verso o due, saranno incisi. - (pag. 21).

- Ecco una soluzione all'umana condizione: trovare nella morte il modo di oltrepassare questa condizione umana, vincere la morte con la morte stessa, facendo in modo di dare alla morte il senso che non ha, perchè la morte ne è assolutamente priva. - (pag. 26).

- L'immortalità, il kléos àphithiton, che la morte eroica conferisce, non passa le frontiere dell'Ade: è tra i vivi che Achille è conosciuto ma, nel regno dei morti, Achille cessa di esistere. Tuttavia, in questa morte eroica e dietro questa specie di idea di morte, cui i Greci hanno tentato di dare forma vi è anche questa affermazione per cui la vita vale la pena di essere vissuta se noi le doniamo un senso, e questo senso non è fuori dalla vita, in un aldilà esteriore; gli dèi sono qui, nel mondo, ma è un mondo inaccessibile, c'è una frontiera. Vi sarà certo un culto eroico ma, al fondo, la vita e la morte di quanti sono stati vivi è affare dei vivi. Siamo noi ad essere eredi di ciò. E' la continuità nella civilizzazione del canto dei poeti, della gloria di Achille e di Ulisse; è questa la portata della morte eroica, e non, come abbiamo tendenza a pensare e sperare, l'entrata in un altro mondo, in un aldilà, la ricompensa di una sorta di paradiso in cui noi saremo ancora noi stessi ma nella forma di un'individualità senza rapporto con ciò che eravamo da vivi. - (pag. 31-32).

2 commenti:

  1. ... sulla dignità della "morte umile", antieroica, che porta lentamente oltre le frontiere dell'Ade, nell'oblio, ritengo che ci sia molto da ri-dire. L'eroe è "unico" ma fugge dalla complessità della vita, anche quella che degrada... ecco che l'eroe diventa paradossalmente "codardo". E' vero anche che la vita e la morte sono "affare dei vivi", soprattutto di tutti quelli che non sono resi immmortali dalla penna del poeta!

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    1. Più che un eroe codardo credo si possa dire un eroe "presuntuoso". Questo perché non dobbiamo dimenticare che i personaggi di cui si parla nel testo sono uomini di potere: Achille, Ulisse, Patroclo sono tutti di stirpe reale. Quindi non vanno incontro a una morte eroica per fuggire da una vita degradante o difficile. Quello che li spinge è la lucida consapevolezza della gloria eterna, l'"immortalità". Un'immortalità di cui loro non godranno, resterà per i vivi dato che, morendo finiranno nell'Ade, nell'oblio.
      Per quanto riguarda la "morte umile", bisognerebbe analizzarla servendosi di altri testi. Cercherò di approfondire. Grazie Luciano, bel commento.

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