giovedì 23 maggio 2013

Saul Bellow, L'uomo in bilico



Saul Bellow, L'uomo in bilico, Arnoldo Mondadori Editore, 1953 (Rist. 2007)




Il succo:

- C'è stato un tempo in cui la gente aveva l'abitudine di rivolgersi di frequente a se stessa e non si vergognava di registrare le proprie transazioni interiori, mentre oggi tenere un diario è considerato una forma di autocompiacimento, una debolezza, e una cosa di cattivo gusto. Perché la nostra è un'epoca di duri. Oggi è più forte che mai il codice dell'atleta, dell'uomo tutto d'un pezzo. ... Avete una vita interiore? Sono fatti vostri. Avete delle emozioni? Soffocatele. Fino a un certo punto tutti obbediscono a questo codice. ... Ma sulla sincerità più autentica ha un effetto inibitorio. Le questioni davvero serie non sono alla portata del duro. I duri sono inesperti quanto a introspezione, e quindi non sono adatti a confrontarsi con rivali contro i quali non possono sparare come fossero selvaggina o che non possono superare in audacia. ... I duri trovano ricompensa per il loro silenzio: guidano aeroplani, affrontano tori, pescano tarponi, mentre io di rado lascio la mia stanza. E' raro trovarsi soli nella città dove si è vissuti quasi tutta la vita; eppure per me è letteralmente così. - (pag.7-8).

- Ho pensato di andare a lavorare, ma non mi va di ammettere che non so come usare la mia libertà e che sono costretto a tuffarmi nella schiavitù del lavoro semplicemente perché non ho risorse - in altre parole, non ho carattere. ... sembrerebbe che la chiamata alle armi si l'unica opzione per gli stranieri. Non posso fare altro che aspettare, o rimanere in bilico, e sentirmi sempre più scoraggiato. - (pag. 10-11).

- Credo di portarmi dietro dai giorni di scuola la sensazione che ci sia qualcosa di illecito nel gironzolare senza far niente in pieno giorno. - (pag. 12)

- I mondi che cerchiamo non sono mai quelli che vediamo; i mondi che ci aspettiamo non sono mai stati quelli che otteniamo. - (pag. 25).

- Naturalmente, si deve guadagnare da vivere, ma cerca di trovare un equilibrio tra quello che vuole e quello che è obbligato a fare, tra quello che è necessario e quello che desidera. E' un compromesso, ma d'altronde, la vita dell'uomo è piena di compromessi. - (pag. 28).

- E forse è una convinzione universale, questa che deriva dal fatto che ci conosciamo troppo bene per accettare le buone opinioni che gli altri anno di noi, e condividiamo piuttosto le cattive. - (pag. 79).

- Le difficoltà, come la sofferenza fisica, ci rendono pianamente consapevoli del fatto che stiamo vivendo, e quando c'è poco nella vita che viviamo che ci affascina, attrae ed eccita, le cerchiamo e nutriamo, preferendo l'imbarazzo e il dolore all'indifferenza. - (pag. 84).

- Mio padre si colpevolizzava aspramente per la miseria che lo costringeva a tirarci su in un quartiere povero e temeva che avremmo visto troppo. E in effetti io vidi, in una stanza priva di tende vicino al mercato, un uomo che si impennava sopra a qualcuno su un letto, e in un'altra occasione una bionda addossata in grembo a un negro. Ma più difficili da dimenticare erano la gabbia con dentro un ratto gettata in un falò, e due ubriachi che litigavano, uno che andava via perdendo sangue, le gocce che gli cadevano dalla testa come le prime lente gocce di un acquazzone estivo, una linea storta di gocce lasciate sul marciapiede mentre si allontanava. - (pag. 88-89).

- Ovviamente, soffriamo di un'avidità senza fondo. Le nostre vite sono così preziose per noi, siamo così attenti al minimo spreco. O forse sarebbe meglio parlare di Sentimento di un Destino Individuale. Si, credo sia meglio di avidità. Lasciare che la mia vita non raggiunga la sua massima potenzialità per un millesimo di millimetro? Sono due cose diverse stimarsi e valutarsi follemente. E poi ci sono i nostri progetti, le nostre idealizzazioni. Anche questi sono pericolosi. Possono consumarci come parassiti, mangiarci, berci, e lasciarci prostrati e in fin di vita. E tuttavia non smettiamo di invitare i parassiti, come se fossimo ansiosi di essere prosciugati e mangiati.
E' perché ci hanno insegnato che non esiste un limite a quello che un uomo può essere. Seicento anni fa, un uomo era quello che per nascita era destinato a essere. Satana e la Chiesa, rappresentante di Dio, se lo contendevano. L'uomo, per via di una sua scelta, decideva almeno in parte quale sarebbe stato l'esito. Ma sia che, una volta morto, andasse all'inferno o in paradiso, il suo posto tra gli uomini era quello. Non poteva essere contestato. Da allora, però, il palcoscenico è stato riallestito e gli esseri umani si limitano a camminarci sopra e, in questa nuova versione, è con la storia che dobbiamo fare i conti. Allora, eravamo abbastanza importanti perché le nostre anime fossero oggetto di contesa. Adesso, ognuno di noi è responsabile della propria salvezza, che è insita nella propria grandezza. E quella, quella grandezza, è la roccia su cui scortichiamo i nostri cuori. Siamo circondati da grandi menti, grandi bellezze, grandi amanti e criminali. E della grande tristezza e disperazione dei Werther e dei Don giovanni siamo passati alle immagini di grandezza dominatrice dei Napoleoni; da queste agli assassini che avevano quel diritto sulle loro vittime perché più grandi di loro; agli uomini che si sentivano autorizzati ad avvicinarsi agli altri con la frusta; a studentelli e impiegati che ruggivano come leoni rivoluzionari; a quei magnaccia e topi di fogna, polemisti nei bar aperti a mezzanotte, che credevano di poter essere grandi nel tradimento e catturare nel cappio la loro morbosità le gole di quelli che reputavano sani e ragionevoli; a sogni di ombre di grande bellezza che si abbracciano su uno schermo immacolato. Per queste ragioni odiamo smoderatamente, e smoderatamente puniamo noi stessi e ci puniamo l'un l'altro. Il timore di restare indietro ci perseguita e ci fa impazzire. Il timore ci sta dentro come una nuvola. Crea dentro di noi un clima di buio. E occasionalmente c'è un temporale e piovono, fuori di noi, odio e ferite. - (pag 91-92).

- < Il mondo vero è quello dell'arte e della mente. C'è un solo tipo di lavoro che merita, quello dell'immaginazione > - (pag. 94).

- Viene esercitata su di noi una grande pressione per far sì che ci sottovalutiamo. Al contrario, la civiltà ci insegna che ognuno di noi ha un valore inestimabile. Ci prepara quindi a due cose: alla vita e alla morte. Di conseguenza, noi apprezziamo e ci vergogniamo di apprezzare noi stessi, siamo dei duri. Veniamo addestrati al silenzio e, se occasionalmente uno di noi si prende le misure, lo fa come se niente fosse, come se stesse esaminandosi le unghie e non l'anima, crucciandosi delle imperfezioni che trova come farebbe di fronte a un'unghia spezzata o orlata di nero. Perché, naturalmente, ci viene richiesto di accettare l'imposizione di ogni tipo di ingiustizia, di aspettare in fila sotto un sole cocente, di correre su una spiaggia di ciottoli, di essere sentinelle, esploratori o lavoratori, di essere quelli che erano sul treno quando è esploso, o quelli ai cancelli quando sono stati chiusi, di essere privi di significato, di morire. Il risultato è che impariamo a non avere sentimenti o curiosità nei confronti di noi stessi, Chi può essere appassionato cacciatore di se stesso quando sa di essere a sua volta preda? O nulla di così definito come una preda, piuttosto uno dei tanti pesci che in branco vengono guidati verso la diga. - (pag.124-125).

- Sono costretto a esprimere un giudizio su me stesso e a farmi domande che preferirei non pormi: < A cosa serve? > e < A cosa servo? > e < Sono stato creato per questo? >. Le mie convinzioni sono inadeguate, non mi proteggono. Invariabilmente penso al tendone del negozio all'angolo. Offre la stessa protezione dal vento e dalla pioggia delle mie convinzioni di fronte al caos che sono costretto ad affrontare. < Dio non ama chi non riesce a dormire bene > dice un vecchio proverbio. - (pag 129).

- < E' una cosa che stupisce anche me. Ma con ogni gennaio che passa, in qualche maniera, sono qui; ce l'ho fatta. Ma non so come. Un po' lavoro, un po' scrocco, un po' gioco d'azzardo. suppongo di essere un peso morto. O che continuerò ad esserlo fino a quando non sarò quello che voglio diventare. Be', scrocco dalle persone che faccio divertire. E comunque è già qualcosa. > - (pag.137).

- < Il mondo ti insegue. Ti fornisce un fucile o uno strumento meccanico, ti sceglie per questo o quell'altro ruolo, ti porta notizie squillanti di disastri e vittorie, ti sposta avanti e indietro, limita i tuoi diritti, taglia via il tuo futuro, è goffo o abile, oppressivo, infido, assassino, nero, puttaniere, venale, inavvertitamente ingenuo, buffo. Qualsiasi cosa tu faccia non lo puoi congedare. > - (pag.144).

- < Cosa fare date le circostanze. >
< Cercare di vivere. >
< Come? >
< Con un piano, un programma, magari un'ossessione. >
< Una costruzione ideale. >
< Be', è una bella frase. Una costruzione ideale, un espediente ossessivo. Ce ne sono state di innumerevoli varietà: per lo studio, la saggezza, il coraggio, la guerra, i benefici della crudeltà, l'arte; l'uomo-dio delle culture antiche, l'uomo rinascimentale, l'amante cortese, il cavaliere, l'ecclesiastico, il despota, l'asceta, il milionario, il manager. Potrei citarne centinaia, di queste costruzioni ideali, ognuna con le sue asserzioni e i suoi simboli, ognuna che trova- nella condotta, in Dio, nell'arte, nel denaro- la sua particolare risposta e proclama:  "Questo è l'unico modo possibile di affrontare il caos". > ...
< A te serve una di queste costruzioni, Joseph? >
< Non ti sembra che ne abbiamo bisogno? >
< Non so. >
< Possiamo cavarcela senza? >
< Se la pensi così... >
< Evidentemente dobbiamo avere qualcosa di esclusivo su cui concentrarci, che ci appassiona e divora. >
< Può darsi. >
< Ma che dire del divario tra la costruzione ideale e il mondo reale, la verità? >
< E' già... >
< Come sono collegati? >
< Un problema interessante. > ...
...
< A tutto questo come rispondi? >
< Non ho risposto. Non sono tenuto a dare risposte. > - (pag. 146-147).

- Ma siamo gente collerica, nondimeno: due parole scambiate in un cinema o in un qualsiasi altro luogo affollato, e siamo pronti a saltarci addosso. Soltanto che, secondo me, le nostre sfuriate sono ingannevoli: siamo troppo ignoranti e spiritualmente poveri per capire che ci avventiamo contro il "nemico" per ragioni indistinte di amore e solitudine. Forse, anche, di disprezzo verso noi stessi. Ma, soprattutto, solitudine. - (pag. 154).

- In questo senso Goethe aveva ragione: Una vita che continua vuol dire aspettative. La morte abolisce la scelta. Più la scelta è limitata, più è vicina la morte. La più grande crudeltà consiste nel ridurre le aspettative senza eliminare del tutto la vita. Una condanna all'ergastolo è così. E questo vuol dire essere cittadini in alcune nazioni. La soluzione migliore sarebbe vivere come se le normali aspettative non fossero state eliminate, non alla giornata, ciecamente. Ma questo richiede un immensa padronanza di sé. - (pag. 155).

- < Non ci si può preparare a nulla se non alla vita. Non ti serve saper niente per morire. Devi solo imparare che un giorno sarai morto. L'ho imparato molto tempo fa. > ...
...
< Io dico che non ci sono valori al di fuori della vita. Non c'è niente al di fuori della vita. >
< Non litigheremo su questo. Ma tu vuoi delle cose impossibili. Anche gli altri sono in bilico, tutti quanti. Quando e se sopravviverai potrai iniziare a trovare un tuo equilibrio. > - (pag. 174)

- < Abbiamo paura di governare noi stessi. E' normale. E' così difficile. Vogliamo subito rinunciare alla nostra libertà. ... scegliamo un padrone, ci rotoliamo a pancia all'aria e chiediamo il guinzaglio. >
< Ecco cosa succede. Non è l'amore a farci stancare della vita. E' la nostra incapacità di essere liberi. > - (pag. 176).

- Non me l'ero cavata bene da solo. Dubitavo che chiunque potesse. Affidarsi interamente a se stessi mette in dubbio i fatti stessi della semplice esistenza. Forse la guerra poteva insegnarmi, con la violenza, quello che non ero stato capace di imparare durante quei mesi passati nella stanza. Forse potevo sondare la creazione con altri mezzi. Forse. Ma le cose adesso non dipendevano più da me. La prossima mossa toccava al mondo. Non riuscii proprio a rammaricarmene. ...
...
Non posso più essere considerato responsabile di me stesso; di questo sono grato. Sono in mano ad altri, sollevato dalla autodeterminazione, la libertà cancellata.
Evviva gli orari fissi!
Evviva la supervisione dello spirito!
Lunga vita alla irregimentazione! - (pag 200-201).

Nessun commento:

Posta un commento