martedì 28 maggio 2013

Hermann Hesse, Siddhartha




Hermann Hesse, Siddhartha, Adelphi, 1973 (Rist. 2012)



Il succo:

- E un giorno passarono i samana attraverso la città di Siddhartha: asceti girovaghi, tre uomini secchi e spenti, né vecchi né giovani, con spalle impolverate e sanguinose, seminudi, arsi dal sole, circondati di solitudine, estranei e ostili al mondo, forestieri nel regno degli uomini come macilenti sciacalli. Spirava da loro un'aura di cheta passione, di devozione fino all'annientamento, di spietata rinuncia alla personalità. - (pag. 33).

- Vedeva i mercanti commerciare, i principi andare a caccia, la gente in lutto piangere i suoi morti, le meretrici far copia di sé, i medici affannarsi per i loro ammalati, i sacerdoti stabilire il giorno per la semina, gli amanti amare, le madri allattare i loro bimbi - e tutto ciò non era degno dello sguardo dei suoi occhi, tutto mentiva, tutto puzzava, puzzava di menzogna, tutto simulava significato e felicità e bellezza, e tutto era inconfessata putrefazione. Amaro era il sapore del mondo. La vita, tormento.
Una meta, una sola, si proponeva Siddhartha: diventare vuoto, vuoto di sete, vuoto di desideri, vuoto di sogni, vuoto di gioia e di dolore. - (pag 37).

- Disse Siddhartha: < Ciò che ho imparato fin ora presso i samana, o Govinda, avrei potuto impararlo più presto e più semplicemente. In qualunque bettola di malaffare, amico mio, tra carrettieri e giocatori di dadi, l'avrei potuto imparare >. ... < Che cos'è la concentrazione? Che cosa l'abbandono del corpo? Che cos'è il digiuno? Che cosa la sospensione del respiro? Tutto questo è fuga dall'Io, breve pausa nel tormento d'essere Io, è un effimero stordirsi contro il dolore insensato della vita. La stessa evasione, lo stesso effimero stordimento prova il bovaro all'osteria, quando si tracanna alcuni bicchieri d'acquavite o di latte di cocco fermentato. Allora costui non sente più il proprio Sé, allora non sente più le pene della vita, allora prova un effimero stordimento >. - (pag. 40).

- < Nella realtà non esiste, io credo, quella cosa che chiamiamo "imparare". C'è soltanto, o amico, un sapere, che è ovunque, che è Atman, che è in me e in te e in ogni essere. E così comincio a credere: questo sapere non ha nessun peggior nemico che il voler sapere, che l'imparare >. - (pag. 42).

- < Non un minuto ho dubitato che tu sei Buddha, che tu hai raggiunto la meta, la somma meta verso la quale si affaticano tante migliaia di brahmani e di figli di brahmani. Tu hai trovato la liberazione dalla morte. Essa è venuta a te attraverso la ricerca, ti è venuta incontro sulla tua stessa strada, attraverso il pensiero, la concentrazione, la conoscenza, l'illuminazione. Non ti è venuta attraverso la dottrina! E - tale è il mio pensiero, o Sublime - nessuno perverrà mai alla liberazione attraverso una dottrina! A nessuno, o Venerabile, tu potrai mai, con parole, e attraverso una dottrina, comunicare ciò che avviene in te nell'ora della tua illuminazione! Molto contiene la dottrina del Buddha illuminato: a molti essa insegna a vivere rettamente, a evitare il male. Ma una cosa non contiene questa dottrina così limpida, così degna di stima: non contiene il segreto di ciò che il Sublime stesso ha vissuto, egli solo fra centinaia di migliaia. ... Questo è il motivo per cui continuo la mia peregrinazione: non per cercare un'altra o migliore dottrina, poiché lo so, che non ve n'è alcuna, ma per abbandonare tutte le dottrine e tutti i maestri e raggiungere da solo la mia meta o morire >. (pag.53-54).

- Ho visto un uomo, pensava Siddhartha, un uomo unico, davanti al quale ho dovuto abbassare lo sguardo. Davanti a nessun altro voglio mai più abbassare lo sguardo: a nessun altro. Nessuna dottrina mi sedurrà mai più, poiché non m'ha sedotto la dottrina di quest'uomo. 
Il Buddha m'ha derubato, pensava Siddhartha, m'ha derubato, eppure è ben più prezioso ciò che egli mi ha donato. M'ha derubato del mio amico, di colui che credeva in me e che ora crede in lui, che era la mia ombra e che ora è l'ombra di Gotama. Ma mi ha donato Siddhartha, mi ha fatto dono di me stesso. - (pag. 55).

- Quando Siddhartha lasciò il boschetto nel quale rimaneva il Buddha, il Perfetto, e nel quale rimaneva Govinda, allora egli sentì che in quel boschetto restava dietro di lui anche tutta la sua vita passata e da lui si separava. Su questa sensazione, che lo riempiva tutto, egli venne riflettendo mentre s'allontanava a lento passo. Profondamente vi pensò, come attraverso un'acqua profonda si lasciò calare fino al fondo di questa sensazione, fin la dove riposano le acque ultime, poiché conoscere le cause ultime, questo appunto è pensare-così gli pareva-e solo per questa via le sensazioni diventano conoscenze e non vanno perdute, ma al contrario si fanno essenziali e cominciano ad irradiare ciò che in esse è contenuto. - (pag. 57).

- < Basta, cominciare i pensiero e la mia vita con l'Atman o col dolore del mondo! Basta uccidermi e smembrarmi, per scoprire un segreto dietro le rovine! Non sarà più lo Yoga-Veda a istruirmi, né l'Atharva-Veda, né gli asceti , né alcuna dottrina. E' da me che voglio imparare, di me stesso voglio essere il discepolo, voglio conoscermi, svelare quel mistero che ha nome Siddhartha >. - (pag 58).

- < Tu apprendi agevolmente, o Siddhartha; ebbene, impara anche questo: l'amore si può mendicare, comprare, ricevere in dono, si può trovarlo per caso sulla strada, ma non si può estorcere >. - (pag. 73).

- < Vedi, Kamala, se tu getti una pietra nell'acqua, essa si affretta per la via più breve fino al fondo. E così è di Siddhartha, quando ha una meta, un proposito. Siddhartha. Siddharta aspetta, pensa, digiuna, ma passa attraverso le cose del mondo come la pietra attraverso l'acqua, senza far nulla, senza agitarsi: egli viene attratto e si lascia cadere. La sua meta lo tira a sé, poiché nell'anima propria egli non fa penetrar nulla che potrebbe contrastare a tale meta. Questo è ciò che Siddhartha ha imparato dai samana. Questo è ciò che gli stolti chiamano magia, credono che sia opera di demoni. Nulla è opera di demoni, non esistono demoni. Ognuno può compiere una magia, ognuno può raggiungere i propri fini, se sa pensare, se sa aspettare, se sa digiunare >. - (pag. 76)

- Vedeva gli uomini vivere alla maniera di bimbi o di bestie, sì che a un tempo era era costretto ad amarli e a disprezzarli. Li vedeva affannarsi, soffrire e farsi i capelli grigi, per cose che a lui parevano di nessun conto: denaro, piccoli piaceri, piccoli onori, e li vedeva litigarsi e accapigliarsi, li vedeva lamentarsi di dolori sui quali  il samana sorride, e soffrire per privazioni di cui il samana nemmeno si accorge. - (pag. 84).

- L'etera si chinò su di lui e lo contemplò a lungo nel volto, lo fissò negli occhi cerchiati di stanchezza.
< Sei il miglior amante che io abbia  mai visto > disse pensierosa. < Sei più forte degli altri, più flessibile, più alacre. Hai bene appreso l'arte mia, Siddhartha. Un giorno, quando sarò più vecchia, voglio avere un figlio da te. Ma con tutto questo, o caro, tu sei rimasto un samana, con tutto questo tu non mi ami, non ami nessuna creatura umana. Non è così? >.
< Può ben darsi che sia così > disse Siddhartha con stanchezza. < Io sono come te. Anche tu non ami, altrimenti come potresti far dell'amore un'arte? Forse le persone come noi non possono amare. Lo possono gli uomini-bambini: questo è il loro segreto >. - (pag. 86).

- Siddhartha aveva preso qualcosa delle maniere degli uomini-bambini, qualcosa della loro puerilità e della loro timidezza. Eppure li invidiava, li invidiava tanto più quanto più diventava simile a loro. Li invidiava per l'unica cosa che a lui mancava e che essi possedevano, per l'importanza che essi riuscivano ad attribuire alla loro vita, per la passionalità delle loro gioie e delle loro paure, per l'angoscia ma dolce felicità del loro stato di innamorati eterni. Di sé, di donne, dei loro bambini, di onori, di ricchezze, di progetti o di speranze, sempre questi uomini erano innamorati. - (pag. 89).

- Era ancora possibile vivere? Era ancora possibile continuare l'eterna fatica di inspirare ed emettere il respiro, avere fame e sfamarsi, ricominciare a mangiare, a dormire, a giacere con donne? Non era chiuso ed esaurito per lui questo circolo di delle esistenze? - (pag. 97).

- < Ricordati, caro: effimero è il mondo delle forme, effimeri, quanto mai effimeri, sono i nostri abiti, e la foggia dei nostri capelli e corpi. > - (pag. 102)

- Singolare fu in verità la mia vita - pensava - singolari deviazioni a preso. Ragazzo, non ho avuto a che fare se non con déi e sacrifici. Giovane, non ho avuto a che fare se non con ascesi, meditazione e concentrazione, sempre in cerca del Brahman, sempre intento a venerare l'eterno nell'Atman. Ma quando fui un giovanotto mi riunii ai penitenti, vissi nella foresta, sofrfersi il caldo e il gelo, appresi a sopportare la fame, insegnai al mio corpo come morire. Meravigliosa allora mi giunse la rivelazione attraverso la dottrina del grande Buddha. ... Ma anche da Buddha e dalla grande conoscenza mi dovetti staccare. Me ne andai, e appresi da Kamala la gioia dell'amore, appressi da Kamaswami il commercio, accumulai denaro, dissipai denaro, appresi ad amare il mio stomaco, a lusingare i miei sensi. ... Eppure è stata assai buona questa via, e l'usignolo non è ancora morto nel mio petto. Sono dovuto passare attraverso tanta sciocchezza, tanto vizio, tanto errore, tanto disgusto e delusione e dolore, solo per ridiventare bambino e ricominciare da capo. ... Ho dovuto provare la disperazione, ho dovuto abbassarmi fino al più stolto di tutti i pensieri, al pensiero del suicidio, per poter rivivere la grazia, per riapprendere l'Om, per poter di nuovo dormire tranquillo e risvegliarmi sereno. ... Ho dovuto peccare per poter rivivere. - (pag. 104).

- < Ti ringrazio, > disse Siddhartha < Ti ringrazio e accetto. E ti ringrazio anche di avermi ascoltato così bene! Sono rari gli uomini che sanno ascoltare, e non ne ho mai incontrato uno che fosse così bravo come sei tu. Anche in questo avrò da imparare da te >. - (pag.112).

- Spesso sedevano insieme di sera su un tronco presso la riva, tacevano e ascoltavano tutti e due l'acqua, che per loro non era acqua, ma la voce della vita, la voce di ciò che è ed eternamente diviene. - (pag. 115).

- Un giorno che la vista del ragazzo gli ricordò intensamente Kamala, Siddhartha dovette rammentarsi all'improvviso d'una frase che Kamala gli aveva detto un tempo, nei giorni lontani della giovinezza. < Tu non sai amare > gli aveva detto, ed egli le aveva dato ragione e aveva paragonato se stesso a un astro e gli uomini-bambini a foglie cadenti, e ciò nonostante aveva percepito in quelle parole anche un suono di rimprovero. In effetti egli non era mai riuscito a perdersi e a consacrarsi interamente in un'altra creatura, a dimenticarsi di sé e commettere pazzie d'amore per qualcuno; mai era riuscito a fare qualcosa di simile, e questa era stata - così gli era parso allora - la gran differenza tra lui e gli uomini-bambini. Ma ora, dacché suo figlio era con lui, ora anche lui, Siddhartha, era diventato in pieno un uomo-bambino, e soffriva a causa d'una creatura umana, amava una creatura, si perdeva per amore, per amore diventava un povero stolto. Anch'egli sentì ora finalmente, per una volta nella vita, questa fortissima e singolarissima tra le passioni, ne sofferse, sofferse lamentosamente, eppure si sentiva come inebriato, rinnovato ed arricchito da qualche cosa. - (pag. 125).

- Diversamente che un tempo considerava ora gli uomini, con minore orgoglio, con minore intelligenza, e perciò con tanto maggior calore, curiosità, interesse. - (pag. 131).

- ...gli uomini attaccati al mondo erano erano pari ai saggi, anzi, spesso, erano loro di gran lunga superiori, così come anche le bestie, in molti casi, con i loro atti tenaci, imperterriti e guidati dalla necessità, possono sembrare superiori agli uomini.
Lentamente fioriva, lentamente maturava in Siddhartha il riconoscimento, la consapevolezza di che cosa fosse davvero la saggezza, quale la meta del suo lungo cercare. Non era nient'altro che una disposizione dell'anima, una capacità un'arte segreta di saper pensare in qualunque istante, nel pieno della vita, il pensiero dell'unità, di saper sentire e respirare l'unità. - (pag. 132).

- E tutto insieme, tutte le voci, tutte le mete, tutti i desideri, tutti i dolori, tutta la gioia, tutto il bene e il male, tutto insieme era il mondo. Tutto insieme era il fiume del divenire, era la musica della vita. ... In quell'ora Siddhartha cessò di lottare contro il destino, in quell'ora cessò di soffrire. Sul suo volto fioriva la serenità del sapere, cui più non contrasta alcuna volontà, il sapere che conosce la perfezione, che è in accordo con il fiume del divenire, con la corrente della vita, un sapere che è pieno di compassione e di simpatia, docile al flusso degli eventi, aderente all'Unità. - (pag. 136).

- Siddhartha si chinò, alzò una pietra da terra e la soppesò sulla mano.
< Questa > disse giocherellando <è una pietra,e forse, entro un determinato tempo, sarà terra, e di terra diventerà pianta, o bestia, o uomo. Bene, un tempo io avrei detto: "Questa pietra è soltanto una pietra ... Ma oggi invece penso: questa pietra è pietra, ed è anche animale, è anche dio, è anche Buddha, io l'amo e la onoro non perché un giorno o l'altro potrebbe diventare questo o quello, ma perché essa è, ed è sempre stata tutto; e appunto questo fatto, che sia pietra, che ora mi appaia come pietra, proprio questo fa sì che io l'ami, e veda un senso e un valore in ognuna delle sue venature e cavità. > - (pag. 143).

giovedì 23 maggio 2013

Saul Bellow, L'uomo in bilico



Saul Bellow, L'uomo in bilico, Arnoldo Mondadori Editore, 1953 (Rist. 2007)




Il succo:

- C'è stato un tempo in cui la gente aveva l'abitudine di rivolgersi di frequente a se stessa e non si vergognava di registrare le proprie transazioni interiori, mentre oggi tenere un diario è considerato una forma di autocompiacimento, una debolezza, e una cosa di cattivo gusto. Perché la nostra è un'epoca di duri. Oggi è più forte che mai il codice dell'atleta, dell'uomo tutto d'un pezzo. ... Avete una vita interiore? Sono fatti vostri. Avete delle emozioni? Soffocatele. Fino a un certo punto tutti obbediscono a questo codice. ... Ma sulla sincerità più autentica ha un effetto inibitorio. Le questioni davvero serie non sono alla portata del duro. I duri sono inesperti quanto a introspezione, e quindi non sono adatti a confrontarsi con rivali contro i quali non possono sparare come fossero selvaggina o che non possono superare in audacia. ... I duri trovano ricompensa per il loro silenzio: guidano aeroplani, affrontano tori, pescano tarponi, mentre io di rado lascio la mia stanza. E' raro trovarsi soli nella città dove si è vissuti quasi tutta la vita; eppure per me è letteralmente così. - (pag.7-8).

- Ho pensato di andare a lavorare, ma non mi va di ammettere che non so come usare la mia libertà e che sono costretto a tuffarmi nella schiavitù del lavoro semplicemente perché non ho risorse - in altre parole, non ho carattere. ... sembrerebbe che la chiamata alle armi si l'unica opzione per gli stranieri. Non posso fare altro che aspettare, o rimanere in bilico, e sentirmi sempre più scoraggiato. - (pag. 10-11).

- Credo di portarmi dietro dai giorni di scuola la sensazione che ci sia qualcosa di illecito nel gironzolare senza far niente in pieno giorno. - (pag. 12)

- I mondi che cerchiamo non sono mai quelli che vediamo; i mondi che ci aspettiamo non sono mai stati quelli che otteniamo. - (pag. 25).

- Naturalmente, si deve guadagnare da vivere, ma cerca di trovare un equilibrio tra quello che vuole e quello che è obbligato a fare, tra quello che è necessario e quello che desidera. E' un compromesso, ma d'altronde, la vita dell'uomo è piena di compromessi. - (pag. 28).

- E forse è una convinzione universale, questa che deriva dal fatto che ci conosciamo troppo bene per accettare le buone opinioni che gli altri anno di noi, e condividiamo piuttosto le cattive. - (pag. 79).

- Le difficoltà, come la sofferenza fisica, ci rendono pianamente consapevoli del fatto che stiamo vivendo, e quando c'è poco nella vita che viviamo che ci affascina, attrae ed eccita, le cerchiamo e nutriamo, preferendo l'imbarazzo e il dolore all'indifferenza. - (pag. 84).

- Mio padre si colpevolizzava aspramente per la miseria che lo costringeva a tirarci su in un quartiere povero e temeva che avremmo visto troppo. E in effetti io vidi, in una stanza priva di tende vicino al mercato, un uomo che si impennava sopra a qualcuno su un letto, e in un'altra occasione una bionda addossata in grembo a un negro. Ma più difficili da dimenticare erano la gabbia con dentro un ratto gettata in un falò, e due ubriachi che litigavano, uno che andava via perdendo sangue, le gocce che gli cadevano dalla testa come le prime lente gocce di un acquazzone estivo, una linea storta di gocce lasciate sul marciapiede mentre si allontanava. - (pag. 88-89).

- Ovviamente, soffriamo di un'avidità senza fondo. Le nostre vite sono così preziose per noi, siamo così attenti al minimo spreco. O forse sarebbe meglio parlare di Sentimento di un Destino Individuale. Si, credo sia meglio di avidità. Lasciare che la mia vita non raggiunga la sua massima potenzialità per un millesimo di millimetro? Sono due cose diverse stimarsi e valutarsi follemente. E poi ci sono i nostri progetti, le nostre idealizzazioni. Anche questi sono pericolosi. Possono consumarci come parassiti, mangiarci, berci, e lasciarci prostrati e in fin di vita. E tuttavia non smettiamo di invitare i parassiti, come se fossimo ansiosi di essere prosciugati e mangiati.
E' perché ci hanno insegnato che non esiste un limite a quello che un uomo può essere. Seicento anni fa, un uomo era quello che per nascita era destinato a essere. Satana e la Chiesa, rappresentante di Dio, se lo contendevano. L'uomo, per via di una sua scelta, decideva almeno in parte quale sarebbe stato l'esito. Ma sia che, una volta morto, andasse all'inferno o in paradiso, il suo posto tra gli uomini era quello. Non poteva essere contestato. Da allora, però, il palcoscenico è stato riallestito e gli esseri umani si limitano a camminarci sopra e, in questa nuova versione, è con la storia che dobbiamo fare i conti. Allora, eravamo abbastanza importanti perché le nostre anime fossero oggetto di contesa. Adesso, ognuno di noi è responsabile della propria salvezza, che è insita nella propria grandezza. E quella, quella grandezza, è la roccia su cui scortichiamo i nostri cuori. Siamo circondati da grandi menti, grandi bellezze, grandi amanti e criminali. E della grande tristezza e disperazione dei Werther e dei Don giovanni siamo passati alle immagini di grandezza dominatrice dei Napoleoni; da queste agli assassini che avevano quel diritto sulle loro vittime perché più grandi di loro; agli uomini che si sentivano autorizzati ad avvicinarsi agli altri con la frusta; a studentelli e impiegati che ruggivano come leoni rivoluzionari; a quei magnaccia e topi di fogna, polemisti nei bar aperti a mezzanotte, che credevano di poter essere grandi nel tradimento e catturare nel cappio la loro morbosità le gole di quelli che reputavano sani e ragionevoli; a sogni di ombre di grande bellezza che si abbracciano su uno schermo immacolato. Per queste ragioni odiamo smoderatamente, e smoderatamente puniamo noi stessi e ci puniamo l'un l'altro. Il timore di restare indietro ci perseguita e ci fa impazzire. Il timore ci sta dentro come una nuvola. Crea dentro di noi un clima di buio. E occasionalmente c'è un temporale e piovono, fuori di noi, odio e ferite. - (pag 91-92).

- < Il mondo vero è quello dell'arte e della mente. C'è un solo tipo di lavoro che merita, quello dell'immaginazione > - (pag. 94).

- Viene esercitata su di noi una grande pressione per far sì che ci sottovalutiamo. Al contrario, la civiltà ci insegna che ognuno di noi ha un valore inestimabile. Ci prepara quindi a due cose: alla vita e alla morte. Di conseguenza, noi apprezziamo e ci vergogniamo di apprezzare noi stessi, siamo dei duri. Veniamo addestrati al silenzio e, se occasionalmente uno di noi si prende le misure, lo fa come se niente fosse, come se stesse esaminandosi le unghie e non l'anima, crucciandosi delle imperfezioni che trova come farebbe di fronte a un'unghia spezzata o orlata di nero. Perché, naturalmente, ci viene richiesto di accettare l'imposizione di ogni tipo di ingiustizia, di aspettare in fila sotto un sole cocente, di correre su una spiaggia di ciottoli, di essere sentinelle, esploratori o lavoratori, di essere quelli che erano sul treno quando è esploso, o quelli ai cancelli quando sono stati chiusi, di essere privi di significato, di morire. Il risultato è che impariamo a non avere sentimenti o curiosità nei confronti di noi stessi, Chi può essere appassionato cacciatore di se stesso quando sa di essere a sua volta preda? O nulla di così definito come una preda, piuttosto uno dei tanti pesci che in branco vengono guidati verso la diga. - (pag.124-125).

- Sono costretto a esprimere un giudizio su me stesso e a farmi domande che preferirei non pormi: < A cosa serve? > e < A cosa servo? > e < Sono stato creato per questo? >. Le mie convinzioni sono inadeguate, non mi proteggono. Invariabilmente penso al tendone del negozio all'angolo. Offre la stessa protezione dal vento e dalla pioggia delle mie convinzioni di fronte al caos che sono costretto ad affrontare. < Dio non ama chi non riesce a dormire bene > dice un vecchio proverbio. - (pag 129).

- < E' una cosa che stupisce anche me. Ma con ogni gennaio che passa, in qualche maniera, sono qui; ce l'ho fatta. Ma non so come. Un po' lavoro, un po' scrocco, un po' gioco d'azzardo. suppongo di essere un peso morto. O che continuerò ad esserlo fino a quando non sarò quello che voglio diventare. Be', scrocco dalle persone che faccio divertire. E comunque è già qualcosa. > - (pag.137).

- < Il mondo ti insegue. Ti fornisce un fucile o uno strumento meccanico, ti sceglie per questo o quell'altro ruolo, ti porta notizie squillanti di disastri e vittorie, ti sposta avanti e indietro, limita i tuoi diritti, taglia via il tuo futuro, è goffo o abile, oppressivo, infido, assassino, nero, puttaniere, venale, inavvertitamente ingenuo, buffo. Qualsiasi cosa tu faccia non lo puoi congedare. > - (pag.144).

- < Cosa fare date le circostanze. >
< Cercare di vivere. >
< Come? >
< Con un piano, un programma, magari un'ossessione. >
< Una costruzione ideale. >
< Be', è una bella frase. Una costruzione ideale, un espediente ossessivo. Ce ne sono state di innumerevoli varietà: per lo studio, la saggezza, il coraggio, la guerra, i benefici della crudeltà, l'arte; l'uomo-dio delle culture antiche, l'uomo rinascimentale, l'amante cortese, il cavaliere, l'ecclesiastico, il despota, l'asceta, il milionario, il manager. Potrei citarne centinaia, di queste costruzioni ideali, ognuna con le sue asserzioni e i suoi simboli, ognuna che trova- nella condotta, in Dio, nell'arte, nel denaro- la sua particolare risposta e proclama:  "Questo è l'unico modo possibile di affrontare il caos". > ...
< A te serve una di queste costruzioni, Joseph? >
< Non ti sembra che ne abbiamo bisogno? >
< Non so. >
< Possiamo cavarcela senza? >
< Se la pensi così... >
< Evidentemente dobbiamo avere qualcosa di esclusivo su cui concentrarci, che ci appassiona e divora. >
< Può darsi. >
< Ma che dire del divario tra la costruzione ideale e il mondo reale, la verità? >
< E' già... >
< Come sono collegati? >
< Un problema interessante. > ...
...
< A tutto questo come rispondi? >
< Non ho risposto. Non sono tenuto a dare risposte. > - (pag. 146-147).

- Ma siamo gente collerica, nondimeno: due parole scambiate in un cinema o in un qualsiasi altro luogo affollato, e siamo pronti a saltarci addosso. Soltanto che, secondo me, le nostre sfuriate sono ingannevoli: siamo troppo ignoranti e spiritualmente poveri per capire che ci avventiamo contro il "nemico" per ragioni indistinte di amore e solitudine. Forse, anche, di disprezzo verso noi stessi. Ma, soprattutto, solitudine. - (pag. 154).

- In questo senso Goethe aveva ragione: Una vita che continua vuol dire aspettative. La morte abolisce la scelta. Più la scelta è limitata, più è vicina la morte. La più grande crudeltà consiste nel ridurre le aspettative senza eliminare del tutto la vita. Una condanna all'ergastolo è così. E questo vuol dire essere cittadini in alcune nazioni. La soluzione migliore sarebbe vivere come se le normali aspettative non fossero state eliminate, non alla giornata, ciecamente. Ma questo richiede un immensa padronanza di sé. - (pag. 155).

- < Non ci si può preparare a nulla se non alla vita. Non ti serve saper niente per morire. Devi solo imparare che un giorno sarai morto. L'ho imparato molto tempo fa. > ...
...
< Io dico che non ci sono valori al di fuori della vita. Non c'è niente al di fuori della vita. >
< Non litigheremo su questo. Ma tu vuoi delle cose impossibili. Anche gli altri sono in bilico, tutti quanti. Quando e se sopravviverai potrai iniziare a trovare un tuo equilibrio. > - (pag. 174)

- < Abbiamo paura di governare noi stessi. E' normale. E' così difficile. Vogliamo subito rinunciare alla nostra libertà. ... scegliamo un padrone, ci rotoliamo a pancia all'aria e chiediamo il guinzaglio. >
< Ecco cosa succede. Non è l'amore a farci stancare della vita. E' la nostra incapacità di essere liberi. > - (pag. 176).

- Non me l'ero cavata bene da solo. Dubitavo che chiunque potesse. Affidarsi interamente a se stessi mette in dubbio i fatti stessi della semplice esistenza. Forse la guerra poteva insegnarmi, con la violenza, quello che non ero stato capace di imparare durante quei mesi passati nella stanza. Forse potevo sondare la creazione con altri mezzi. Forse. Ma le cose adesso non dipendevano più da me. La prossima mossa toccava al mondo. Non riuscii proprio a rammaricarmene. ...
...
Non posso più essere considerato responsabile di me stesso; di questo sono grato. Sono in mano ad altri, sollevato dalla autodeterminazione, la libertà cancellata.
Evviva gli orari fissi!
Evviva la supervisione dello spirito!
Lunga vita alla irregimentazione! - (pag 200-201).