domenica 15 settembre 2013

Ian McEvan, L'inventore di sogni




Ian McEwan, L'inventore di sogni, Einaudi, 2010


Il succo:


- Quando Peter Fortune aveva dieci anni, i grandi dicevano che era un bambino difficile. Lui però non capiva in che senso. Non si sentiva per niente difficile. ...
... Fu solo quando era ormai grande da un pezzo che Peter finalmente capì. La gente lo considerava difficile perché se ne stava sempre zitto. E a quanto pare questo dava fastidio. L'altro problema era che gli piaceva starsene da solo. ... Gli piaceva stare da solo, e pensare i suoi pensieri. ... 
Non aveva niente in contrario a stare con gli altri quando era il caso. Ma la gente esagera. Anzi, secondo lui, se si fosse sprecato un po' meno tempo a stare insieme e a convincere gli altri a fare lo stesso, e se ne fosse dedicato un po' a stare da soli e a pensare a chi siamo e chi potremmo essere, allora il mondo sarebbe stato un posto migliore, ... - (pag.3-4-5).

- Peter, crescendo, imparò che, siccome la gente non riesce a vedere che cosa ti sta passando nel cervello, la cosa migliore per farsi capire, è dirglielo. E così incominciò a scrivere alcune delle avventure che gli capitavano mentre guardava dalla finestra o se ne stava sdraiato a fissare il cielo. - (pag. 12)



Il Gatto

- Svegliandosi al mattino, Peter non apriva mai gli occhi prima di aver risposto a due semplici domande. Uno: chi ero, già? Ah, si, Peter, un bambino di dieci anni e mezzo. Due, sempre con gli occhi chiusi: che giorno è oggi? E la risposta gli piombava addosso, realtà palpabile e ferma come una montagna. Martedì. Un altro giorno di scuola. Allora si tirava le coperte sulla testa e andava a rannicchiarsi tutto dentro il suo tepore facendosi inghiottire da quel buio amico. Riusciva quasi a far finta di non esistere, ma sapeva che gli sarebbe toccato saltar fuori, prima o poi. Era proprio martedì, per tutto il mondo. La terra stessa, cigolando nello spazio freddo girando e roteando intorno al sole, aveva portato tutti quanti a martedì e non c'era niente che né Peter né i suoi genitori e neppure il governo potessero fare per cambiare la situazione. Doveva alzarsi, se non voleva perdere l'autobus e fare tardi, e finire nei guai. ...
... C'era però anche un quinto membro della famiglia, il quale non aveva mai furia e ignorava tutto quel finimondo. Se ne stava sdraiato sulla mensola sopra il calorifero, con gli occhi socchiusi, dando appena in qualche sbadiglio di quando in quando. Erano sbadigli enormi, offensivi. La bocca si spalancava rivelando una bella lingua rossa e quando finalmente tornava a chiudersi, il corpo intero, dal baffo alla punta della coda, era percorso da un fremito pigro: William, il gatto, si preparava a vivere un'altra giornata. ...
... Nei pomeriggi d'inverno, di ritorno da scuola, non c'era cosa che Peter amasse di più che sfilarsi con un calcio le scarpe e sdraiarsi davanti al fuoco del tinello accanto al gatto William. Gli piaceva mettersi giù all'altezza di William e poi andargli vicino con la faccia a guardare la sua, quella faccia straordinaria diversa e bellissima, con ciuffi di pelo nero che si aprivano a raggio intorno al musetto, e i baffi bianchi leggermente piegati all'in giù, e i peli del sopracciglio sparati dritti come antenne della televisione, e gli occhi verde chiaro con quelle fessure strette come porte socchiuse su un mondo nel quale Peter non sarebbe mai potuto entrare. ...
...Fu proprio in uno di quei pomeriggi, e proprio di martedì, guarda caso, le quattro appena e fuori già quasi buio, le tende tirate e la luce accesa, che Peter si accomodò sul tappeto vicino a William, davanti a un bel fuoco le cui fiamme si arricciavano intorno a un grosso ciocco di legno d'olmo. ...
... "Vuoi che ti accarezzo il mento, è?" sussurrò. Ma non era così. Il gatto voleva essere toccato esattamente all'attaccatura del collo. Peter sentì qualcosa di duro. ... un piccolo ovale schiacciato nel mezzo e, cosa ben più incredibile, si accorse che era attaccato alla pelle di William. ... Era come se stesse tirando l'estremità di una cerniera lampo. Tirò ancora e questa volta lo squarcio buio si fece lungo almeno due pollici. ... Aprì la cerniera del gatto dalla gola alla coda. ... Poi d'improvviso dal Gatto William  sgusciò...bé si insomma, una cosa, una creatura. ..."Tu devi essere lo spirito di William", disse Peter. ... Poi lo spirito volteggiò dietro la sua testa e non poté più vederlo. Lo sentiva però sfiorargli il collo e un leggero brivido gli corse giù per la schiena. Lo spirito del gatto afferrò qualcosa che doveva sporgere dalla sua spina dorsale e lo tirò giù, fino in fondo, e Peter sentì l'aria fresca della stanza solleticargli il tepore interno.
Era una sensazione stranissima, quella di uscire dal proprio corpo, come se niente fosse, per poi lasciarlo sdraiato per terra, come quando ci si sfila una camicia. ... I due spiriti volteggiarono un poco nell'aria l'uno di fronte all'altro. ... Il corpo era aperto come una porta. ... Peter discese ed entrò. Che bella cosa vestire i panni di un gatto. ...
...Lanciò un'ultima occhiata al proprio corpo, appena in tempo per vederci sparire dentro lo spirito del gatto William. ... Com'era piacevole camminare su quelle quattro zampette morbide e bianche. Si vedeva i baffi spuntare ai lati della faccia e si sentiva la coda arricciolarsi da dietro. ...
... Quella sera Peter si ritrovò troppo inquieto, agitato, troppo gatto, per dormire. Intorno alle dieci, sgusciò fuori di casa passando dalla ribaltina. ...
... Poco dopo, nel corso di un giro di ronda sul muro alto che sovrastava la serra, si ritrovò muso a muso con un altro gatto ...Era nero nero, ... si trattava dal gattone della porta accanto, un tipo gagliardo, quasi due volte lui, con un gran collo e lunghe zampe robuste. ...
..."Ehi, micio-micio" sibilò. "Stai camminando sul mio muretto".
Il gatto nero era molto sorpreso. Sorrise. "Vorrai dire che era il tuo muro, Nonnetto. Sentiamo un po' che vorresti fare?"
"Ti conviene girare alla larga, prima che ti faccia finire in basso". Peter non poteva credere alla forza che si sentiva dentro.
Il gatto nero sorrise di nuovo, con freddezza.
"Senti Nonnetto, Non è più il tuo muro da un pezzo. E io ci passo finché mi pare. Ora levati da mezzo se no ti apro in due". ... Tutto intorno, dal buio, arrivarono i gatti del vicinato a vedere che succedeva. Peter li sentiva parlare.
"Una zuffa?"
"Una zuffa!"
"Il vecchi deve essere impazzito!"
"Ha diciassette anni come minimo." ...
..."Preparati a diventare mangime per uccellini", ammonì il gatto nero, facendo un passo in avanti. Peter tirò un sospiro profondo. Doveva vincere per rendere giustizia al vecchio William. ...
... Si lanciò immediatamente all'attacco e spinse il gattone con le zampe anteriori. Questa non era una mossa consueta nei combattimenti fra gatti e il campione fu colto alla sprovvista. diede in un miagolio di sorpresa e, scivolando sulle zampe posteriori, cadde dal muro finendo a testa prima nel tetto della serra sottostante. ...
... Lo sentirono imprecare.
"Non vale. Le unghie e i denti, d'accordo. Ma dare spintoni a quel modo. Non vale e basta."
"La prossima volta", gli gridò dietro Peter "impari a chiedere prima il permesso.
Il gatto nero non replicò, ma quella sua ritirata sbilenca lasciava intendere che avesse afferrato il concetto.
Il mattino dopo, Peter se ne stava sdraiato sul calorifero con il capo appoggiato a una zampa e l'altra ciondoloni nell'aria calda che saliva. Intorni a lui era tutto un andirivieni frenetico. ...
...Il gatto Peter socchiuse gli occhi. Dopo quella vittoria si sentiva stanchissimo. Tra non molto tutta la famiglia sarebbe stata fuori, e la casa sarebbe piombata nel silenzio. ...
...La giornata trascorse esattamente come aveva sperato. Tra un sonnellino, una lappata di latte, un altro sonnellino, qualche boccone di cibo per gatti in scatola, che a onor del vero non era poi così atroce come l'odore lasciava supporre: una specie di pasticcio di carne tritata, ma senza il purè di contorno. E poi ancora dormire. ...
... Aveva gli occhi chiusi, quando la porta si spalancò e comparve il Bambino William.
"Ehi Peter," disse Kate, "non hai nemmeno bussato."
Ma il suo fratello-gatto non le diede retta. Attraversò la stanza, afferrò il suo gatto-fratello e se lo portò via di corsa. ... "Shh," disse "non abbiamo tanto tempo".
William portò il gatto in soggiorno e lo mise giù.
"Sta' fermo," sussurrò il bambino. "Fa' come ti dico. Mettiti sulla schiena."... Trovò quel pezzettino di osso liscio e lo tirò giù. Peter sentì l'aria fresca entrargli in corpo. Uscì dal gatto. Il Bambino intanto si stava cercando la cerniera sulla schiena e, quando l'ebbe trovata, l'aprì. ... Per un momento i due spiriti, quello del gatto e quello del bambino si ritrovarono uno di fronte all'altro, sospesi a mezz'aria sopra il tappeto. La sotto, giacevano immobili i rispettivi corpi, ... Nella stanza aleggiava una certa tristezza.
Sebbene lo spirito del gatto non dicesse niente, Peter sentì che il messaggio era, "Devo tornare. Mi aspetta un altra avventura. Grazie per avermi permesso di fare il Bambino. Ho imparato tantissime cose che mi serviranno in futuro. Ma soprattutto, grazie per aver combattuto la mia ultima battaglia." ...
... Sdraiato a terra, nel tentativo di riadattarsi al corpo di sempre, Peter notò qualcosa di strano. Il fuoco avvolgeva ancora di fiamme lo stesso ciocco di legno d'olmo. ... Si stava facendo buio. Non era sera, doveva essere ancora tardo pomeriggio. Dal giornale appoggiato vicino alla sedia, constatò che era sempre martedì. Ed ecco un'altra stranezza. Sua sorella Kate stava entrando di corsa in soggiorno, piangendo. E dietro di lei, c'erano anche mamma e papà, con l'aria triste.
"Oh, Peter," esclamò sua sorella. "E' successa una cosa terribile."
"Il gatto William," spiegò sua madre. "Purtroppo è ...
"E' entrato in cucina," disse suo padre. "E' salito sulla mensola preferita, quella sul calorifero, ha chiuso gli occhi, ed è ... morto." ...
...Peter si alzò lentamente. Quelle due gambe non gli parevano un buon sostegno.
"Si," disse alla fine. "Ormai era pronto per altre avventure."

martedì 10 settembre 2013

Jean-Pierre Vernant, La morte eroica nell'antica Grecia



Jean-Pierre Vernant, La morte eroica nell'antica Grecia, il melangolo, 2007

Il succo:


- Achille è, così, l'immagine stessa del guerriero e delle virtù: non solo il coraggio, ma anche quella forma di morale aristocratica che fa da sfondo alla morte eroica, e in cui un uomo è kalòs kagatòs, "bello-buono"... - (pag. 6).

- Achille ha dovuto sceglier tra due vite. O una vita tranquilla e dolce, una vita lunga con una donna, e i figli, e il padre, e poi la morte al termine del cammino, nel suo letto, come accade a tante persone anziane: sparire in una specie di mondo oscuro, tra volti vestiti di notte in cui nessuno ha nome né individualità, nell Ade, diventare ombra inconsistente, e poi più niente, e nessuno. O, al contrario, quella che i Greci chiamano vita breve e bella morte, kalos thànatos. Non c'è bella morte senza vita breve. - (pag. 7-8).

- Come c'è un onore eroico che non è l'onore ordinario, c'è una morte eroica in battaglia che non è una morte ordinaria. Perché? Perché il giovane uomo nel fiore degli anni e della bellezza che cada in battaglia non vedrà sul suo corpo gli avvizzimenti, il rammollimento che l'età reca ai mortali. E' la legge del genere umano: si nasce, si cresce, si diventa efebo, giovane uomo, uomo "fatto", e poi, poco a poco, contrariamente a quanto accade agli dèi, ci si indebolisce, deteriora, degrada, si diventa un vecchio stanco che sragiona e che presto morirà; ed è come se non avesse vissuto. Ma se uno muore al momento di dimostrare chi è nel fiore della sua giovinezza, la sua esistenza sfuggirà all'usura del tempo, alla mortalità ordinaria. - (pag 11-12).

- La morte eroica procura non solo un onore incomparabile ma realizza il paradosso di una creatura umana mortale, effimera, votata al ciclo - il passaggio attraverso differenti tappe fino alla misera morte - che caratterizza l'uomo e lo oppone agli dèi. - (pag. 15).

- Come arrivare a compiere un'impresa che mi distingue dai comuni mortali? Non come un dio, ma come se lo splendore divino si fosse posato su di me, un mortale, quasi la bellezza di Afrodite su una bella fanciulla, e d'un tratto l'umana vita fosse rischiarata, divenisse altra anche grazie all'eroismo di alcuni guerrieri.
Ecco, almeno credo, uno dei sensi della morte eroica, e questo ci invita a comprendere che in questo sforzo all'interno della concezione greca dell'uomo - una concezione molto terra terra -, la vita, la felicità della vita, il coraggio, la forza, l'impetuosità, la giovinezza, il piacere amoroso sono i veri valori che contano. Ma tutto ciò si sfilaccia, non è niente. Come posso allora trovare il modo per attingere almeno un poco di quella stabilità dell'esistenza che attribuisco agli dèi? Questa stabilità consiste nel fatto che il mio nome, la mia esistenza singolare, quel che ho fatto, quel che sono stato, resteranno inscritti per sempre nella memoria degli uomini in due modi. Il primo luogo i poeti nei loro canti celebreranno quello che i Greci chiamano kléos àphithion, una gloria cantata, imperitura; senza fine Achille sarà cantato di generazione in generazione. Quindi, la memoria funebre: una tomba sarà costruita con una stele su cui il nome di Achille e poche parole, talvolta un verso o due, saranno incisi. - (pag. 21).

- Ecco una soluzione all'umana condizione: trovare nella morte il modo di oltrepassare questa condizione umana, vincere la morte con la morte stessa, facendo in modo di dare alla morte il senso che non ha, perchè la morte ne è assolutamente priva. - (pag. 26).

- L'immortalità, il kléos àphithiton, che la morte eroica conferisce, non passa le frontiere dell'Ade: è tra i vivi che Achille è conosciuto ma, nel regno dei morti, Achille cessa di esistere. Tuttavia, in questa morte eroica e dietro questa specie di idea di morte, cui i Greci hanno tentato di dare forma vi è anche questa affermazione per cui la vita vale la pena di essere vissuta se noi le doniamo un senso, e questo senso non è fuori dalla vita, in un aldilà esteriore; gli dèi sono qui, nel mondo, ma è un mondo inaccessibile, c'è una frontiera. Vi sarà certo un culto eroico ma, al fondo, la vita e la morte di quanti sono stati vivi è affare dei vivi. Siamo noi ad essere eredi di ciò. E' la continuità nella civilizzazione del canto dei poeti, della gloria di Achille e di Ulisse; è questa la portata della morte eroica, e non, come abbiamo tendenza a pensare e sperare, l'entrata in un altro mondo, in un aldilà, la ricompensa di una sorta di paradiso in cui noi saremo ancora noi stessi ma nella forma di un'individualità senza rapporto con ciò che eravamo da vivi. - (pag. 31-32).