martedì 20 agosto 2013

Thomas Bernhard, Il soccombente



Thomas Bernhard, Il soccombente, Adelphi, 1999


Il succo:

- E forse questa carriera da me infranta tutt'a un tratto, pensai entrando nella locanda, è una parte indispensabile del mio processo di intristimento. Noi tutti sperimentiamo ogni sorta di cose per poi spezzare di continuo questi esperimenti, gettiamo tutt'a un tratto decenni di esistenza nel mucchio dei rifiuti. - (pag. 21).

- Fin da principio Wertheimer ed io amammo New York. Non solo è la città più bella del mondo, è anche quella che ha l'aria più salubre, ci dicevamo in continuazione, in nessun altra parte del mondo abbiamo mai respirato un'aria migliore. Glenn confermava quel che noi sentivamo: New York è l'unica città al mondo nella quale un uomo d'ingegno può respirare liberamente non appena vi mette piede. - (pag.25).

- Tutti gli istituti di insegnamento superiore sono cattive scuole, e quello che noi frequentiamo è sempre il peggiore di tutti se non riesce ad aprirci gli occhi. Che razza di miserabili maestri abbiamo dovuto sopportare, han davvero violato le nostre menti. tutti quanti rapinatori dell'arte, annientatori dell'arte, uccisori dell'ingegno, assassini di studenti. - (pag.25).

- Detestava le persone che parlano senza aver finito di pensare, quindi detestava quasi tutta l'umanità. E da questa umanità da lui detestata si era in effetti ritirato già da più di vent'anni. - (pag.30-31).

- Non è certo necessario, diceva, vivere con una persona per stabilire con questa un fortissimo, ineguagliabile legame. - (pag.40).

- La mia inesauribile curiosità ha impedito il mio suicidio, così lui, pensai. Noi non perdoniamo al padre di averci fatti, alla madre di averci gettati nel mondo e alla sorella di essere la perpetua testimone della nostra infelicità. Esistere, in sostanza, non significa nient'altro che questo: essere disperati, così lui. - (pag. 56).

- Ciò che lo affascinava erano gli esseri umani nella loro infelicità, non lo attraevano le persone in sé, ma la loro infelicità, e l'infelicità la coglieva dovunque ci fossero delle persone, pensai, era avido di persone perché avido di infelicità. L'uomo è l'infelicità, diceva di continuo, pensai, solo gli imbecilli affermano il contrario. Essere partoriti è un'infelicità, diceva, e fintanto che viviamo ci portiamo appresso questa infelicità, che soltanto la morte può spezzare. Ma ciò non significa che noi siamo solo infelici, la nostra infelicità è la premessa per poter essere anche felici, solo passando attraverso l'infelicità possiamo essere felici. - (pag.  74).

- Le amicizie, pensai, l'esperienza lo dimostra, sono possibili alla lunga soltanto se si fondano su un comune retroterra, tutto il resto, pensai, è pura illusione. - (pag. 81).

- Per tutta la vita ci sforziamo di evitare il dilettantismo ma esso di continuo ci rincorre e ci raggiunge, pensai, e non c'è nulla che noi desideriamo con maggior intensità che sottrarci per sempre al dilettantismo dal quale veniamo continuamente raggiunti. (pag. 86).

- Dobbiamo sapere fin dall'inizio quel che vogliamo, pensai, già da bambini dobbiamo aver chiaro in testa ciò che vorremmo essere da grandi, ciò che vorremmo, che dovremmo ottenere. - (pag. 86).

-  La nostra esistenza consiste nell'essere e nel lottare perennemente contro la natura, diceva Glenn, lottiamo contro la natura fino a quando rinunciamo a questa lotta perché la natura è più forte di noi, noi che per arroganza ci siamo trasformati in un prodotto artificiale. Noi non siamo in effetti esseri umani, noi siamo prodotti artificiali, l'uomo che suona il pianoforte è un prodotto artificiale, un prodotto disgustoso, diceva lui per concludere. - (pag. 92)

- ... già prima di conoscere Glenn avevo pensato di smettere di suonare ritenendo insensata la mia fatica; sempre, qualsiasi cosa mi fossi messo a fare, ero stato il migliore, ed essendo a questo non avevo remore al pensiero di smettere, di dare un taglio a un'attività insensata, benché fossero in molti a dirmi e ridirmi che appartenevo in effetti alla schiera dei migliori, ma a me non bastava appartenere alla schiera dei migliori, io volevo essere o il migliore in assoluto o nessuno, e così cessai di suonare e regalai il mio Steinway alla famiglia del maestro di musica di Altmunster, pensai. - (pag. 96).

- ... io ho sempre voluto essere soltanto me stesso, Wertheimer invece è sempre stato uno di quelli che continuamente e per tutta la vita e riducendosi in uno stato di perenne disperazione vogliono essere qualcun altro, qualcuno che devono credere per forza favorito dalla sorte di loro, pensai. - (pag. 104).

- Wertheimer non era capace di vedere se stesso come un essere unico al mondo, mentre in effetti è così che ciascuno di noi può e deve concedersi di vedere se stesso se non vuole cadere in balia della disperazione, ogni essere umano, comunque sia fatto, è un essere unico al mondo, io stesso me lo dico di continuo e con questo son salvo. - (pag. 105).

- Probabilmente dobbiamo supporre che no esistano affatto esseri umani cosiddetti infelici, pensai, dal momento che perlopiù siamo noi che rendiamo infelici gli esseri umani sottraendo ad essi la loro infelicità. - (pag. 117).

- Partiti con l'idea di diventare dei grandi virtuosi, i nostri vecchi compagni di studi vivacchiano da decenni come maestri di pianoforte, pensai, si fanno chiamare maestri del conservatorio di musica e trascinano la loro esistenza disgustosa di poveri insegnanti in balia dello scarso talento dei loro allievi nonché della megalomania e dell'avidità artistica dei genitori di questi allievi, e intanto sognano nelle loro case piccolo-borghesi la pensione dell'insegnante di musica. - (pag. 122).

- Dovunque ci guardiamo intorno, vediamo degli ipocriti che non fanno che dire di vergognarsi del denaro che hanno e che altri non hanno, mentre in fondo è più che naturale che alcuni abbiano del denaro e altri non ne abbiano, e che poi ad un tratto questi ultimi ne abbiano e gli altri viceversa rimangano senza, le cose stanno così e non cambieranno mai, la colpa non è di quelli che il denaro ce l'hanno e neanche di quelli che non ce l'hanno e così via dicendo, pensai, ma questo non lo capiscono né gli uni né gli altri, perché in ultima analisi sia gli uni sia gli altri conoscono soltanto l'ipocrisia. - (pag. 126).

- Noi non possiamo sceglierci il nostro luogo di nascita, pensai. Tuttavia da questo luogo di nascita possiamo andarcene se esso rappresenta per noi una minaccia di oppressione, anche se andare via e scappare dal luogo in cui siamo nati ci togli la vita se non riusciamo a cogliere il momento giusto per andar via e scappare.- (pag. 143).

- In teoria comprendiamo gli esseri umani, ma in pratica non li sopportiamo, pensai, il più delle volte stiamo con loro di malavoglia e sempre li trattiamo in base al nostro personale punto di vista. Eppure gli esseri umani, anziché basandoci sul nostro personale punto di vista, dovremmo trattarli e valutarli in base ad ogni possibile punto di vista, pensai, i nostri rapporti con loro dovrebbero essere tali da permetterci di dire che il modo in cui li abbiamo trattati non è stato per così dire inficiato da alcun tipo di prevenzione, ciò che non possiamo mai dire perché in realtà siamo sempre prevenuti nei confronti di ogni essere umano. - (pag. 147).

- I vecchi sono avari anche quando ormai non hanno più bisogno di nulla, anzi più diventano vecchi più diventano avari. - (pag. 154).

- Ma ovviamente gli uomini come noi, diceva, sentono di continuo una grande attrazione verso il tavolo del popolo. Eppure al tavolo del popolo non c'è proprio niente che ci possa interessare, così diceva, ricordo. Essere uno che esiste come autista di un camion di birra, pensai, e giorno dopo giorno caricare e scaricare le botti di birra e farle rotolare negli ingressi delle osterie dell'Alta Austria e sempre sedersi a un tavolo con tutte quelle donne sfacciate che gestiscono locande e osterie, e ogni giorno buttarsi nel letto stanco morto, per trenta o quarant'anni di seguito. - (pag. 160).

- Molto spesso le persone dedite a un lavoro intellettuale dichiarano di non dare importanza ai prodotti di questo lavoro, invece gliene danno moltissima, pensai, solo che non vogliono ammetterlo perché se ne vergognano. - (pag. 167).


mercoledì 7 agosto 2013

Truman Capote, Una casa a Brooklyn Heights



Truman Capote, Una casa a Brooklyn Heights, Archinto, 2006


Il succo:


- Abito a Brooklyn per elezione. ... Considerato nel suo insieme è un quartiere davvero poco attraente. Un concentrato di cattivo gusto... Eppure, in quel grigio sporco privo di verde, c'è qualche oasi di tanto in tanto: meravigliosa contraddizione, stupenda memoria di giorni più salubri. L'esempio più tipico di questi che oggi sembrano miraggi è la zona in cui sto io, Brooklyn Heights. Heights perché si erge su un'altura che permette una veduta a volo d'uccello dei ponti di Manhattan e di Brooklyn, del bagliore sospeso della bassa Manhattan, delle acque solcate dalle navi che educano il fiume a diventare oceano, e circondano e ribollono oltre Miss Libertà in posa. - (pag. 15/16).

- Così lo sforzo di dar nuova vita alle Heights procede da un decennio o anche più: si è anzi tentati di dire che si tratta ormai di un fait accompli. Sui davanzali fioriscono i gerani; secondo la stagione, lame di luce filtrano fra gli alberi oppure le foglie d'autunno bruciano all'angolo; carretti carichi di fiori passano per le strade e il venditore decanta la sua merce, ogni tanto può perfino capitare di sentire all'alba il canto del gallo, perché una signora ha un giardino con parecchie galline e un gallo. Nelle notti d'inverno, quando il vento porta dal fiume i segnali di saluto delle navi in partenza e trascina sui colmi dei tetti il fumo dei camini del fuoco serale, si ha la sensazione, fugace ma autentica come il guizzo della fiamma del caminetto, che il tempo ritorni come i cerchi nell'acqua, che sia possibile riafferrare i più grati riflessi del passato. - (pag. 25).

- Ai limiti delle Heights, appena prima che Brooklyn torni a chiamarsi soltanto Brooklyn, c'è una strada di zingari piena di caffè nei quali ci si può far predire il futuro o ci si può far fare un tatuaggio mentre si sorbisce un boccale di tè nero. C'è anche un quartiere arabo-armeno nel quale pullulano i ristoranti dove l'aria è greve di aromi e dove si possono acquistare, calde dal forno, certe focacce tutte crosta, coperte di semi di sesamo.- (pag. 46).

- Da bambini, siamo pronti a percepire il mistero: scatole sigillate, voci che bisbigliano dietro una porta, cose strane che si intravedono fra gli alberi, che si nascondono nel buio fra un lampione e l'altro. Ma poi, quando si cresce si impara a spiegare tutto, e vien meno la facoltà di procurarsi quel brivido che dà tanto piacere. Ed è proprio un peccato: dovremmo continuare per tutta la vita a credere nell'esistenza degli alberghi dei fantasmi. - (pag. 49).

- Qua e là, sul lungofiume, ci son spiaggette in miniatura e su una di queste una volta, una tranquilla domenica verso l'ora del tramonto, vidi qualcosa che mi fece dubitare dei miei occhi. Dopo aver guardato una seconda volta e poi una terza, ancora aveva tutta l'apparenza di una visione. Da queste parti si vedono tutti i giorni marinai di ogni genere, perfino indiani in sarong, perfino giganti senegalesi con le braccia di nero onice, di un nero cangiante in blu, con tatuaggi gialli, toraci impudenti e scritte vistose, come: Je t'aime, Hard Luck, Mimi Chang, Adios Amigo. Si vedono anche piccoli marinai russi, con le loro tenute svolazzanti che somigliano tanto a dei pigiama. Se ne vedono di tutti i tipi, insomma. Ma quei tre marinai scalzi che vidi accovacciati sulla spiaggia col volto estaticamente fisso in direzione del sole calante, mi parvero creature mitiche, tritoni - sirene, anzi, perché avevano i capelli lunghi come quelli delle donne, capelli striati di ciocche bianche, capelli da selvaggi che scendevano a coprir loro le spalle. E alle orecchie portavano lucenti anelli d'oro. Sia che fossero plenipotenziari giunti dai madreperlacei palazzi marini di Poseidone, o semplici marinai, o vichinghi provenienti dal gotico settentrione e reduci da un lungo viaggio su una nave priva di barbiere, essi hanno ormai per sempre un posto tutto loro in quella parte della mia memoria che custodisce i ricordi strani. Un ricordo prezioso come un cristallo inciso e sfaccettato, un ricordo da guardare e riguardare, alla luce e in controluce. - (pag. 51/52/53).